È probabile che lo dica tutte le volte che racconto un libro che parla di musica: se volete conoscere meglio gli artisti che amate o se volete scoprirne di nuovi, leggete le biografie, le autobiografie, i saggi che ne raccontano la storia. Assieme ai dischi sono lo strumento migliore per avvicinarvi al loro mondo e all’arte che hanno prodotto nel corso del tempo.
Le biografie musicali sono tuttavia libri particolari, da
maneggiare con cura. E se si tratta di autobiografie la cautela deve essere
anche maggiore, perché sono pur sempre di storie raccontate da una prospettiva
personale, raccolte di ricordi non sempre perfettamente archiviati o il frutto
di ricerche incomplete e non sempre attendibili.
E allora perché leggere libri che parlano di musica e
degli artisti che l’hanno prodotta? La risposta è la stessa che potrei darvi se
vi dovessi suggerire la visione di un film di un certo regista o l’ascolto di
un disco: dentro non ci troverete tutto quello che serve, ma l’essenziale da
cui partire per affrontare un meraviglioso viaggio alla scoperta dei grandi
miti della musica, o del cinema, della pittura e di qualsiasi forma d’arte
siate appassionati.
È con questo desiderio di scoperta che ho affrontato
l’autobiografia con cui Robby Krieger
ha voluto raccontare la sua avventura musicale con i Doors, un’esperienza ricca di successi ma anche di dosi immense di
dolore, come quasi sempre accade quando si pone un passo in quel territorio pericoloso
che è la leggenda.
SET
THE NIGHT ON FIRE - VIVERE, MORIRE E SUONARE CON I DOORS è
pubblicato in Italia dalla RIZZOLI
LIZARD in un volume denso e intenso, che conquista immediatamente il
lettore che desidera avere tra le mani un oggetto capace di trasmettere
fisicamente, prima ancora che la lettura abbia avuto inizio, la ricchezza dei
propri contenuti. Lo fa attraverso un peso specifico non indifferente,
risultato di un numero di pagine davvero significativo (ben 464) che di per sé
comunica fin da subito di essere al cospetto di un libro che ha molto da
raccontare in modo tremendamente originale.
In effetti la scelta di Krieger è parecchio
anticonvenzionale. Pur essendo assistito nella scrittura da un autore di
professione, Jeff Alulis, il libro
non è la solita storia auto-referenziale e cronologicamente orientata di “fatti, luoghi e
date” ma, piuttosto, una raccolta di ricordi tradotti in forma di racconto,
senza un ordine temporale sempre perfettamente delineato. Un escamotage reso
necessario dall’impossibilità per lo stesso Krieger di mettere ordine in quella
enorme ridda di esperienze, ricordi, sensazione e palpitazioni che ne hanno
contraddistinto l’esperienza di chitarrista accanto a Jim Morrison.
Il leader carismatico della band, la voce che ancora oggi
rappresenta per molti un mondo emozionale da mantenere in vita, è certamente
l’elemento portante del libro. Krieger non si nasconde, sa che parlare dei
Doors deve comportare necessariamente la messa in primo piano di Morrison,
quasi fosse ancora oggi a distanza di cinquant’anni dalla morte,
l’irrinunciabile frontman di una band che ha continuato ad esistere in forme
differenti.
Allo stesso tempo SET
THE NIGHT ON FIRE non vuole essere un libro celebrativo, né della storia
del gruppo né della figura di Morrison, la cui presenza non aleggia sulle
pagine come un fantasma irrisolto ma, piuttosto, come l’indispensabile e amato
protagonista di un pezzo di vita dell’autore che, nel mettere insieme la propria
personale raccolta di ricordi non fa altro che raccontare se stesso, proponendo
la sua visione di una storia che, essendo di tutti, ha subito mille
trasformazioni, derivazioni e alterazioni.
Detto in altri termini: non c’è una sola, univoca versione
dei Doors, ma infiniti racconti, tanti quante sono le “porte della percezione”
attraverso cui Morrison e soci hanno creato la loro musica. Quella che Krieger offre
al lettore è solo una di quelle storie, quella che lo rappresenta di più.
Una vicenda estremamente umana con la quale Krieger,
spesso con una prosa ironica e sopra le righe, cerca di mettersi a nudo,
proponendo la sua versione dei fatti in modo sincero, svestita di ogni
possibile orpello. Un racconto autentico, che forse smitizza alcuni dei
passaggi fondamentali della carriera dei Doors e che i fans più incalliti
vorrebbero preservare nella loro ingenua leggendarietà, ma che meritano di
essere conosciuti nella loro autenticità. Dopotutto la realtà supera spesso la
fantasia e, laddove Krieger ripristina la verità su alcuni degli episodi più
controversi della band e di Morrison, dall’altro costruisce e definisce
un’immagine più credibile e, anche per questo, più affascinante e intrigante.
Proprio la grande profusione di biografie (e anche
autobiografie piuttosto romanzate) rende SET
THE NIGHT ON FIRE un libro necessario, tanto ai cultori dei Doors quanto a
chi ne volesse sapere di più. Ne emergono anzitutto i ritratti personali dei
quattro componenti della band, così diversi tra loro eppure così capaci di
amalgamare i rispettivi talenti per dare vita ad un sound unico. Il merito di
Krieger è anche quello di ridare a Ray Manzarek e John Densmore (oltre che a se
stesso) un ruolo di co-protagonisti in una carriera musicale di successo che
altrimenti rischia di essere tramandata con esclusivo riferimento a Jim
Morrison.
Il lettore viene così progressivamente conquistato dalla
schiettezza del racconto offerto da Krieger, capace di mettere in evidenza
tanto le luci quanto le ombre che hanno attorniato i Doors, senza fare sconti a
nessuno, né a se stesso né ai compagni ormai scomparsi. Lo fa come solo un vero
amico è in grado di farlo, mettendo in campo la giusta dose di sincerità e
affetto, dimostrando come nemmeno il tempo e la morte siano capaci di sfilare
la trama di rapporti umani nati attorno alla musica e cementati dalla passione
mentre il successo, croce e delizia di tutti gli artisti, lanciava le sue
bordate distruttive.
Estremamente interessante il capitolo che Krieger ha
dedicato in modo specifico al biopic girato da Oliver Stone, per certi versi
antesignano di un genere che ha trovato poi il suo perfetto compimento solo nel
2018 con Bohemian Rhapsody. Curiosamente le medesime critiche che alcuni fans e
parte della critica hanno mosso nei confronti del film dedicato a Freddie
Mercury sono speculari (per non dire identiche) a quelle che ancora oggi
animano i dibattiti nella fan-base dei Doors. Anche le conclusioni a cui giunge
Krieger sono le stesse più volte condivise da Brian May e Roger Taylor: è un
film, non un documentario.
Splendide le parti nelle quali Krieger racconta la
nascita delle canzoni che hanno reso i Doors una band capace di esistere e di
essere ricordata fino ai giorni nostri. Processi creativi sempre affascinanti
perché danno la sensazione al lettore di essere proprio lì mentre qualcosa di
importante nasceva tra le corde di una chitarra o sui tasti di un pianoforte,
mentre la voce potente di Morrison caricava di elettricità l’atmosfera in sala
di registrazione. Sono certamente i racconti più ghiotti per i fans interessati
soprattutto alla musica e che preferiscono tenersi a debita distanza dalle
infinite illazioni che gravitano da sempre attorno al nome di Morrison.
La sincerità con cui Krieger si è avvicinato alla
scrittura della sua autobiografia lo spinge anche a sollevare il velo sulle
tante dipendenze che ne hanno condizionato la vita e minato la salute, in quel
vortice di autodistruzione dal quale si è salvato solo per una serie di
fortunate coincidenze, le stesse che hanno invece scelto di non incrociare la
vita di Jim Morrison, destinato a diventare leggenda anche attraverso la morte
e i misteri che ne sono seguiti.
Krieger coglie anche l’occasione di rimettere in luce e
nella giusta prospettiva tutto quanto fatto a nome Doors dopo la scomparsa di
Morrison. La prosecuzione di una band senza uno dei suoi elementi fondamentali
è probabilmente uno dei temi più spinosi del mondo della musica. Esistono
decine di esempi di band che hanno trovato nuovi equilibri con i quali
aggiungere capitoli inaspettati alla propria storia e altri che, al contrario,
si sono inevitabilmente disgregati avendo perso architravi e pilastri portanti
per la loro esistenza.
I Doors hanno provato ad andare avanti, lo hanno fatto
incidendo musica nuova e continuando ad andare in tour, rendendo felici molti
fans e, certamente, scontentandone altri. Ma hanno compiuto ogni passo animati
da una profonda passione per la loro musica che, almeno a parer mio, li solleva
da ogni responsabilità per quelle accuse di “lesa maestà” che pure in certi
casi sono inevitabili. Ma leggere le parole di Krieger aiuta quantomeno a
comprendere le ragioni profonde e umanissime che portano i musicisti a non
volersi staccare dalla creatura musicale nella quale hanno vissuto gli anni
migliori delle loro vite.
A conti fatti, SET
THE NIGHT ON FIRE probabilmente lascia addosso la malinconia per tutto
quanto sarebbe potuto essere se solo le esistenze dei suoi componenti fossero
state differenti. Ma fare la storia con i se non può che portare all’unica,
ragionevole conclusione, ovvero che la strada da percorrere non poteva che
essere una e una soltanto, quella che conduce direttamente all’immortalità.
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