Tra la storia dei Queen e quella dei Genesis ho
sempre intravisto numerosi parallelismi, a partire dalla capacità di entrambe
delle band di reinventarsi per sopravvivere al passaggio dagli anni Settanta
agli Ottanta. Ma non solo.
Sia i Queen che i Genesis, forti dell'enorme virtuosismo dei
rispettivi componenti, hanno saputo definire un sound unico e riconoscibile
pur avendo abbracciato stili e generi anche radicalmente diversi,
producendo album eclettici, con canzoni talvolta profonde e articolate, altre
volte leggere e di impatto immediato.
Che dire poi della capacità di superare l'urto violento prodotto
dalla nascita del punk e della volontà di sfidare il passare del
tempo, continuando a suonare nonostante tutto e senza mai cedere alla
scelta forse più facile, quella di chiudere un'esperienza musicale complicata
anche dai cambi di formazione (per i Genesis) e i terribili lutti (i Queen).
A unire le due band poi ci sono anche un paio di collaborazioni,
una mancata e l'altra poco conosciuta. La prima, quella che avrebbe potuto
vedere l'ingresso di Roger Taylor nei Genesis, una storia considerata
per lungo tempo una leggenda ma che di recente il batterista ha confermato (ci
fu una cena tra lui e i componenti dei Genesis che si concluse con un nulla di
fatto, soprattutto perché Roger non ritenne la loro musica adatta al suo
stile).
La seconda, l'album Feedback registrato da Brian May e
Steve Hackett (su impulso del primo) nel 1986 e rimasto chiuso in un
cassetto fino al 2000. Nel mezzo, una manciata di apparizioni estemporanee dei
membri dei Queen e dei Genesis in varie occasioni live.
Insomma, i motivi di interesse reciproco tra i fan dei Queen e
dei Genesis non mancano di certo e molti dei temi fin qui accennati trovano
risposta in A GENESIS IN MY BED, l'autobiografia di STEVE HACKETT pubblicata
in Italia da RIZZOLI LIZARD.
L'ex chitarrista dei Genesis racconta la propria vita in modo
semplice e diretto, forse senza mai scavare troppo in profondità negli aspetti
più personali della propria esistenza, ma offrendo comunque un racconto sincero
e aperto rispetto alle esperienze più significative della propria vita sia
artistica che umana.
Interessanti i primi capitoli del libro, quelli dedicati alla
sua infanzia, nei quali emerge una Londra ancora sprofondata in quelle
atmosfere dickensiane che saranno spazzate via solo con la rivoluzione
culturale degli anni '60. Hackett, come molti musicisti della sua generazione,
è stato un bambino che rischiava di restare soffocato dal grigiore persistente
di una società che sembrava ancora incapace di evolversi e di abbracciare il
cambiamento. Un abbraccio potenzialmente mortale, almeno sul piano artistico,
dal quale Hackett è riuscito a liberarsi grazie all'arma più potente di cui era
dotato: la propria creatività .
Ecco quindi che la chitarra e quindi la musica diventano i veri
protagonisti dell'autobiografia man mano che il racconto prosegue. Non mancano
episodi curiosi, come l'incontro con un Freddie Mercury ancora impegnato
a vendere abiti usati a Kensington e la scoperta di quei giovani musicisti che
avrebbero poi fatto la storia del rock, gente del calibro di Jimy Hendrix ed
Eric Clapton.
I Genesis sono ovviamente il tema dominante perché per Hackett
hanno rappresentato il momento musicale più significativo, benché la sua
esperienza nella line-up della band sia durata solo sette anni, un tempo
ristretto nel quale tuttavia ha potuto sperimentare ed evolversi fino a
diventare un musicista capace di camminare con le proprie gambe, dando vita ad
una carriera solista ben raccontata nel libro e che prosegue ancora oggi con
vari progetti sia live che in studio.
A caratterizzare Hackett è soprattutto l'enorme eclettismo e la
voglia di esplorare territori sonori spesso agli antipodi, una propensione che
lo ha portato a collaborare con musicisti diversissimi, oltre che con quelli a
lui più affini come, appunto, Brian May dei Queen.
Ed è forse questo il tema di fondo più significativo che emerge
da questa autobiografia. Per Hackett la creatività coincide con la capacità di
collaborare con altri artisti, perché è dalle interazioni che possono nascere
le esperienze migliori, una regola acquisita durante la sua militanza nei
Genesis e che nel tempo ha evoluto, sfidando e superando le proprie paure, le
debolezze e quel ventaglio di insicurezze che spesso sono un tratto comune tra
i grandi artisti. La paura del palco, del confronto con il pubblico, i dubbi
sul valore e sul significato della propria musica, piuttosto che limitarne la
creatività hanno rappresentato delle sfide alle quali Hackett non si è
sottratto e che, anzi, ha avuto la capacità di affrontare anche seguendo un
percorso di crescita personale e spirituale.
A GENESIS IN MY BED è
un'autobiografia che merita di essere letta, non solo dai fan dei Genesis o
dello stesso Hackett, ma anche da tutti coloro che vogliono avere una visione
più ampia e privilegiata (dato il ruolo del protagonista) di un mondo musicale
che ancora oggi riverbera i propri effetti nel presente e che rappresentata, in
modo incrollabile, la stagione migliore del rock e del pop, dove il virtuosismo
si sposava perfettamente con la capacità di scrivere canzoni capaci di
conquistare il pubblico.
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