Recensione: Eric Clapton, L'Autobiografia, EPC Editore

 


Le biografie (e le autobiografie) musicali sono strumenti preziosi, talvolta indispensabili per conoscere gli artisti che amiamo o quelli di cui vorremmo sapere di più. Ben vengano dunque i libri scritti dai musicisti se il contenuto, oltre a rispecchiare la realtà dei fatti, offrono anche l’opportunità di osservare la vita e la carriera di un artista dal punto di vista personale di chi ha vissuto per davvero quegli eventi.

Intendiamoci, non sempre si tratta di esperimenti riusciti. A volte gli artisti tendono ad essere estremamente indulgenti con se stessi, magari tacendo degli aspetti più controversi della propria esistenza o puntando maggiormente l’attenzione su ciò che hanno creato e non sul come ci sono riusciti e tralasciando del tutto i propri fallimenti. Senza contare i casi in cui i libri sono pensati e realizzati per fini meramente commerciali, la cui stesura è frutto dell’elaborazione di un giornalista o di un ghost writer.

Ma non è questo il caso dell’AUTOBIOGRAFIA DI ERIC CLAPTON, pubblicata in Italia da EPC EDITORE con una traduzione riveduta e corretta rispetto a quella apparsa qualche tempo per un altro editore e che offre la possibilità di (ri)scoprire l’incredibile carriera di uno dei chitarristi più significativi di sempre.

Eric Clapton pur non essendo oggi un musicista da classifica (ma in fondo non lo è mai stato davvero, per sua scelta) continua a rappresentare una parte essenziale della storia del rock e del blues. Il suo stile è presente ovunque, anche tra le corde di un chitarrista come Brian May, che non ha mai negato la forte influenza ricevuta (tra gli altri) anche da Clapton, al quale ha dedicato il brano Bluesbraker (dall’EP Starfleet Project).

Naturalmente il nome di Eric Clapton è conosciuto anche per gli eventi tragici che ne hanno caratterizzato l’esistenza, tra i ricoveri per superare le dipendenze da droga e alcool, alla terribile morte del figlio Conor avuto con la showgirl italiana Lory Del Santo. Tuttavia, ridurre la figura di Clapton all’insieme degli eventi più oscuri che ne hanno dominato per lungo tempo la vita sarebbe un errore. Al centro è giusto che ci siano soprattutto l’artista, le canzoni e le performance passate alla storia.

E sono proprio questi gli elementi su cui l’Autobiografia è costruita. Senza alcuna reticenza, non solo rispetto agli eventi più negativi che lo hanno coinvolto ma anche in ordine alle proprie responsabilità e debolezze, Clapton racconta se stesso in modo disincantato, a tratti con un senso di distacco tipico di chi ha deciso di guardare alla propria vita per ricavarne un bilancio onesto e non viziato da un eccesso di emozioni.

Una sorta di autoanalisi, dunque, che restituisce al lettore una visione accurata e lineare di una carriera e di una vicenda umana semplicemente uniche. Perché Eric Clapton ha davvero suonato con i più grandi e, pur essendo a sua volta una leggenda, non ha ceduto alla tentazione di appesantire il racconto con gli eccessi tipici dell’autocompiacimento. Il che significa poter leggere la storia di un uomo innamorato della musica, certamente pieno di contraddizioni, ma anche animato dal sacro fuoco del bisogno di dire la sua attraverso lo strumento che lo ha reso leggendario.

Una scelta del genere, se da un lato può aver reso la narrazione eccessivamente asciutta e priva di enfasi, dall’altra garantisce l’autenticità tipica della cronaca. Sta al lettore aggiungere le emozioni e provare ad indovinare quali siano state le sensazioni vissute dallo stesso chitarrista che, lo ricorda lui stesso più volte, ha vissuto quelle esperienze quasi sempre condizionato dalle proprie dipendenze, sia chimiche che affettive. L’assenza quindi di un certo grado di profondità può essere dovuto proprio alla “sterilizzazione” dei ricordi operata da quel mix di sostanze e circostanze emotive che hanno condizionato per lungo tempo la vita del musicista.

Ma l’Autobiografia di Eric Clapton non è il memoriale di un malato di dipendenze. Tutt’altro. È la Storia (con la proverbiale S maiuscola) di un chitarrista nato per far scorrere dolcemente le dita sulle corde, un vero predestinato come forse oggi non ce ne sono più. Un chitarrista dal talento gigantesco che nel corso di interi decenni ha ridefinito il modo di fare blues, riducendo la distanza tra il genere, altrimenti obbligato ad abitare in una nicchia, e il grande pubblico.

Dalla lettura del libro è questo forse l’elemento che emerge con maggiore forza. Se da un lato Clapton ha lottano con tutto se stesso per restare fedele alle radici del blues, rifuggendo dal rischio dell’eccessiva commercializzazione, dall’altro ha saputo indovinare una chiave di lettura pop(olare) che non ha mai suonato come una forma di tradimento.

La prosa scorrevole ma non banale e l’estrema sincerità con cui lo stesso Clapton ha scritto i vari capitoli, rendono l’Autobiografia un libro assolutamente godibile, anche grazie ai numerosi incontri che ne hanno caratterizzato la carriera e che hanno il potere di emozionare il lettore pagina dopo pagina.

SINOSSI.

Eric Clapton è universalmente riconosciuto come il chitarrista più talentuoso e influente nella storia del rock. Vincitore di ben diciassette Grammy, è l’unico artista ad essere stato introdotto nella Rock and Roll Hall of Fame per tre volte (sia come membro degli Yardbirds e dei Cream che come artista solista). Ma più che una rockstar

Eric Clapton è un’icona, l’incarnazione vivente della storia della musica rock. Ben noto per la sua riservatezza in una professione contraddistinta da apparenza ed eccentricità, Eric Clapton ci racconta, per la prima volta, le sue straordinarie avventure, sia professionali che personali.

Eric Clapton è la storia travolgente di un sopravvissuto, di un uomo che ha raggiunto l’apice del successo nonostante i suoi particolari demoni ed è, per questo, una delle biografie più avvincenti del nostro tempo.


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