Sacha Baron Cohen: il Freddie Mercury che (per fortuna) non abbiamo visto al cinema

Sesso, droga e rock’n’roll. È forse la definizione più trita che sia mai stata coniata per definire il mondo della musica rock e pop. Non che in molti casi non corrisponda al vero, ma ha il potere di spostare l’attenzione su tutto ciò che con la musica non ha praticamente nulla a che fare.

Quando si è iniziato a parlare concretamente di un biopic dedicato a Freddie Mercury, è stato subito chiaro che si sarebbe trattato di un progetto altamente complicato da realizzare. Freddie, di cui abbiamo l’impressione di sapere tutto, è in realtà una figura ancora oggi sfuggente, sul quale è stato detto di tutto, spesso sorvolando sull’attendibilità delle fonti o dimenticando che in molti casi ciò che è stato detto e scritto è comunque frutto di punti di vista ed esperienze personali.

Come se non bastasse, i cambi di sceneggiatura, cast e regia hanno reso quello che oggi conosciamo con il titolo di Bohemian Rhapsody, un film costantemente a rischio naufragio. Basti pensare che lo script ha almeno due firme (quelle di Anthony McCarten e Peter Morgan), altrettante la regia (prima Bryan Singer e poi Dexter Fletcher, dopo che il progetto sembrava potesse essere assegnato a David Fincher), mentre per il ruolo di protagonista, prima dell’arrivo di Rami Malek, si erano proposti con tanto di provino sia Sacha Baron Cohen che Ben Winshaw: quest’ultimo ha anche raccontato di aver cantato Bohemian Rhapsody davanti a Brian e Roger in occasione di una prova costume).

Dati questi presupposti e tutto quanto accaduto sul set con le bizze di Singer, è quasi un miracolo (o una specie di magia?) che la produzione della pellicola si sia conclusa e che il risultato abbia anche trasformato Bohemian Rhapsody come uno dei film di maggior successo degli ultimi anni, con tanto di premi Oscar e trasformazione di Rami Malek in stella di prima grandezza della nuova generazione di attori.

Proprio in questi giorni i media sono tornati a parlare di Bohemian Rhapsody e, in particolare, di come sarebbe potuto essere se la produzione (la GK Films di Graham King e la Fox) avesse affidato il ruolo di Freddie a Sacha Baron Cohen.

Per chi non lo ricordasse l’attore, famoso per film come Ali G., Borat e Hugo Cabret, è stato per lungo tempo accreditato come colui che avrebbe vestito i panni di Freddie Mercury. Poi, quando il progetto sembrava ormai pronto a partire, Cohen è stato definitivamente allontanato per la più classica delle ragioni: visioni differenti sulla direzione da dare al biopic.

Cohen all’epoca ne ha anche parlato pubblicamente, raccontando di aver avuto in particolare problemi con Brian May. A suo dire, nelle intenzioni del chitarrista dei Queen, la morte di Freddie sarebbe dovuta arrivare a metà film e nella prima parte non si sarebbe dovuto parlare degli aspetti più selvaggi della sua vita.

Ecco di seguito la versione di Cohen:

"Ci sono storie incredibili su Freddie Mercury. Era un selvaggio e viveva una vita estrema fatta di dissolutezza. Ci sono storie che raccontano di nani con vassoi di cocaina sulla testa che giravano nelle feste dei Queen. Ma i membri della band queste cose non le volevano. Così il film era meno interessante, ma bisogna tener presente che la band vuole proteggere la propria eredità e vogliono che sia un film sui Queen. Questo lo capisco perfettamente.

Dopo il mio primo incontro con la band, dovevo capire che non avrei mai potuto portare avanti un lavoro in cui i membri del gruppo di dicono 'Questo sarà un grande film rispetto ad altri perché nel mezzo accade qualcosa di sorprendente'. E che cosa accade a metà film ho chiesto e la risposta è stata 'Freddie muore'. Ho quindi pensato che volessero fare qualcosa in stile Pulp Fiction, dove la fine è il centro del film e il centro è il fine.

Tuttavia la risposta è stata diversa. Mi hanno spiegato che nella seconda metà del film si doveva vedere come il resto della band ha portato avanti la propria storia. E io ho replicato: 'Ascolta, non una sola persona andrà a andare a vedere un film in cui il protagonista muore alla fine del primo tempo e poi la storia prosegue senza di lui per vedere che succede al resto della band'.

Mi hanno chiesto di scrivere il film, ma ho detto, 'non so come scrivere un film biografico'. Così ho chiesto a Peter Morgan, mentre per la regia ho contattato prima David Fincher, che in effetti avrebbe voluto essere coinvolto, e poi Tom Hooper. Tuttavia alla fine le differenti vedute artistiche erano insanabili.”

A stretto giro di posta sono poi arrivate le secche smentite dei diretti interessati. 

Brian May:

“Questo sono delle fesserie, ignorate queste sciocchezze. Abbiamo fatto quella scelta per delle ottime ragioni. Abbiamo ritenuto che Cohen non fosse adatto al ruolo.”

E Graham King, produttore del film:

"Penso che Cohen sia rimasto sconvolto di non poter raccontare la storia che avrebbe voluto portare sullo schermo. La parte fastidiosa di tutta questa faccenda è che tutta la stampa ha dato addosso a Brian May, facendolo passare per colui che vuole il controllo sul film, ma non è davvero così.

Il dolore profondo che ho visto in Brian e la situazione che si era creata mi hanno fatto temere che alla fine lui e Roger Taylor potessero dirmi di non voler più realizzare il film.

Di certo posso dire che non c'era una versione della sceneggiatura in cui Freddie muore a metà del film. Sacha voleva sicuramente portare il film in una direzione che io e la band non avevamo mai pensato fosse quella giusta. Non avevo la sensazione che la visione che aveva in testa coincidesse con la storia che volevo raccontare, ovvero la celebrazione della vita di Freddie e della sua la musica.”

Da non dimenticare poi che di recente è emerso in rete lo script originale del biopic, quello scritto da Anthony McCarten e datato 2015: tra le copiose pagine della sceneggiatura non c’è nulla che avvalori la tesi proposta da Cohen (potete leggere il testo CLICCANDO QUI). 

Ma perché stiamo parlando nuovamente di tutto questo?

La ragione è che il regista David Fincher è tornato a parlare del suo coinvolgimento nel biopic (in realtà non c’è mai stato nulla che sia andato al di là di una possibilità) durante un podcast dedicato al mondo del cinema e condotto da Aaron Sorkin.

Il regista di Fight Club e The Social Network, parlando del suo rapporto di lavoro con Sacha Baron Cohen ha detto:

"Hai visto qualche foto di Sacha nei panni Freddie? Cavolo, ci sono foto che sono davvero spettacolari.”

Le foto, in realtà, non le ha mai viste nessuno perché non sono circolate, ma resta il dubbio se un attore alto 1 metro e 91 possa apparire credibile nei panni di Freddie che di cm ne contava solamente 177. Non che la somiglianza sia un elemento essenziale per interpretare un personaggio realmente esistito, ma vedere sul palco un Freddie Mercury e un Brian May della stessa altezza avrebbe probabilmente danneggiato quella verosimiglianza che pure è richiesta.

Tuttavia non è l’altezza il vero limite che vediamo nella figura di Cohen associata a Freddie. Il nodo cruciale sta tutto nella direzione che lui e Fincher avrebbero voluto dare al film. Se il punto di partenza è la solita storia dei “nani con i vassoi colmi di coca” è evidente che i due intendevano raccontare il Freddie Mercury che possiamo leggere sui giornali scandalistici e in tutti quei libri che hanno provato a raccontare lui e i Queen non per ciò che hanno fatto come musicisti ma per i divertimenti, gli eccessi, le esagerazioni tipiche delle rockstar. E poco importa se si tratti di fatti reali o mere illazioni, l’importante è stupire ad ogni costo.

Il che non è detto che sia necessariamente un male qualora il film fosse riuscito a raccontare anche gli aspetti umani e artistici dei protagonisti. Rocketman è in questo senso un ottimo esempio. Tuttavia non è un biopic, ma una rappresentazione surreale e metaforica della vita di Elton, che dice molto dei demoni interiori del cantante ma praticamente nulla di ciò che ha creato per il pubblico.

Per Graham King, per la Fox e per i Queen i presupposti dovevano essere completamente diversi. Era importante raccontare Freddie soprattutto come cantante e autore di canzoni, come generatore di quella forza capace di spingere la band verso la vetta, senza omettere del tutto gli aspetti più controversi ma evitando di trasformarli nel fulcro del film. Perché si sa, se metti in scena un’orgia o una sniffata, la gente ricorderà quella e non il trionfo su un palco.

E, del resto, Freddie ha sempre voluto raccontare il personaggio che interpretava e mai se stesso. Se lo ha fatto, è accaduto nelle sue canzoni e in quella manciata di interviste nelle quali ha trovato un interlocutore capace di farlo andare oltre la mera promozione del disco del momento. E noi, che siamo fan innamorati di quella meravigliosa figura sul palco, siamo anche poco interessati a sapere quanti amanti Freddie abbia avuto, quali eccessi lo abbiano dominato e se, dopotutto, quei famosi nani c’erano davvero.

Soprattutto, non avremmo tollerato che un mezzo potente come il cinema avesse tramandato al grande pubblico e a quello delle future generazioni, una visione di Freddie più estrema, forse addirittura più aderente a certi fatti realmente accaduti, ma non necessariamente utile a raccontare chi è stato e cosa rappresenta ancora oggi per tutti noi.

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