Con l’avvento di Bohemian Rhapsody,
tutti noi fan dei Queen siamo stati catapultati (dopo numerose peripezie) nel
mondo del cinema. Intendiamoci, non è la prima volta che accade. La musica dei
Queen ha sempre avuto un rapporto privilegiato con il mondo della celluloide e
Flash Gordon e Highlander sono solo i due esempi più evidenti di una storia ben
più articolata.
Bohemian Rhapsody, lo sappiamo, non
sarà un documentario. Può apparire una sottolineatura superflua, eppure diventa
necessaria laddove c’è il bisogno da parte nostra di comprendere cosa andremo a
vedere al cinema per prepararci adeguatamente.
Escluso dunque che ciò che è stato
realizzato da Bryan Singer e dallo sceneggiatore Anthony McCarten sia la fedele
trasposizione della vita dei Queen e di Freddie Mercury (se così fosse saremmo
per forza di cose in presenza di un documentario!), non ci resta che
focalizzarci sulla definizione che è stata data al film fin da quando ne è
stata annunciata la produzione: Bohemian Rhapsody è un biopic.
Il biopic è un genere cinematografico
nel quale ci siamo imbattuti centinaia di volte. Impossibile ricordare tutti i
film dedicati a dei personaggi famosi. Personalmente me ne vengono in mente un
paio: il più recente è L’Ora Più Buia, guarda caso scritto proprio da McCarten
e che ha consentito a Gary Oldman di vincere un meritatissimo Oscar. E poi
penso a Chaplin, con un giovanissimo Robert Downey Junior nei panni dell’attore
che ha cambiato per sempre la storia del cinema. Ma sono solo due esempi, a voi
il piacere di stilare la vostra personale lista.
Ma quali che siano i gusti in fatto di
film, credo sia opportuno avvicinarci a Bohemian Rhapsody tenendo bene a mente
cosa sia, in effetti, un biopic. Soprattutto alla luce delle ultime rivelazioni
fatte da Peter Freestone e da Bryan Singer che hanno sorgere più di qualche
argomento di discussione sulla storia che andremo a vedere.
Da un punto di vista prettamente
letterale, biopic deriva dalla
contrazione dei termini "biographical" e "picture". E’ di fatto un genere che narra la vita di un
personaggio realmente esistito e abbastanza famoso da meritare l’attenzione del
pubblico (e di una casa di produzione!).
Se ci fermassimo a questa definizione,
rischieremmo però di commettere un errore, perché la storia narrata in un
biopic non è quasi mai quella (completamente) vera. Può sembrare un paradosso, ma è necessario
tenere conto di ciò che serve per realizzare un prodotto che si adatti al mondo
del cinema, o dell’intrattenimento se preferite.
La narrazione e, quindi la
sceneggiatura, vengono adattate, in alcuni casi in modo consapevolmente estremo,
per poterle mettere al servizio di una drammaturgia che risponde a regole assai
precise. Vediamone alcune.
Il personaggio principale, il
protagonista della narrazione, è sempre positivo. Non necessariamente une eroe,
ma certamente una figura in qualche modo nobile, capace di trasferire
empaticamente nello spettatore elementi positivi, tanto che le eventuali azioni
sgradevoli di cui si fosse macchiato nella realtà, nel film devono trovare
ampia giustificazione, in ossequio ad una apologia di cui Hollywood è maestra.
Altra regola non meno importante, la
selezione dei momenti della vita del protagonista. Solitamente vengono scelti
passaggi grazie ai quali è possibile costruire azione, movimento o contrasti di
caratteri. Il personaggio raccontato nel biopic deve avere una sfida da
superare o magari dei limiti caratteriali o di natura sociale da sconfiggere. Il più delle volte si
tratta di figure storiche o artistiche che
vengono messe contro un intero sistema di valori da sconfiggere. Naturalmente,
l’apoteosi sarà poi rappresenta dal trionfo finale.
Raramente, per non dire mai, un biopic
si sofferma sul declino del protagonista. Lo scopo è quello di mantenere alto
(e positivo) il climax di cui il film deve essere connotato. Solitamente poi al
protagonista (maschile) viene in qualche modo affiancata anche una figura
femminile, capace di redimerlo, tanto da apparire come un personaggio il cui
unico scopo è quello di aiutare il protagonista per giungere al trionfo finale.
Non voglio dilungarmi troppo in un’analisi
che, tirata per lunghe, potrebbe apparire noiosa. Tuttavia vi invito ad un semplice
esercizio: provate ad applicare queste poche regole di base a Bohemian
Rhapsody. Sorprendentemente si adattato alla perfezione a ciò che sappiamo del
film.
Abbiamo il protagonista (Freddie) che
dovrà lottare per il successo con i suoi compagni di avventura, sfidando il
business musicale ma anche le convenzioni sociali man mano che svilupperà la propria sessualità. Abbiamo la fase in cui
Rami/Malek si allontanerà temporaneamente dai Queen (lo scontro) e abbiamo la
figura femminile (Mary Austin) che, possiamo già prevederlo, sarà comunque
dipinta come colei che farà il possibile per stare accanto all’amato “nonostante
tutto” affinché possa raggiungere i propri traguardi. E, naturalmente, ci sarà
il trionfo finale rappresentato dall’esibizione al Live Aid. Il tutto dipinto
con accuratezza ma anche senza l’obbligo estremo di fedeltà alla realtà, per
adattare gli elementi biografici alle necessità narrative del film (la scoperta
della sieropositività di Freddie anticipata di almeno due anni).
Se l'applicazione di queste regole sarà
stata efficace lo sapremo a partire dal 2 Novembre (il 29, aimè, qui in Italia, salvo sorprese).
Nell’attesa, non dimenticate: nessun obbligo di verità didascalica. Ma senza
tradire la reale essenza dei personaggi e della storia, secondo un principio
che dovrebbe governare qualsiasi opera artistica: l’onestà intellettuale.