Come i Queen hanno conquistato, perso e ritrovato l'America




Nel 1980 le strade di New York erano sature dei gas di scarico delle automobili e dell'assordante cacofonia di radio, urla e motori mandati su di giri. Dai finestrini abbassati e dalle finestre lasciate aperte, le frequenze delle principali stazioni radiofoniche specializzate nel genere R&B diffondevano nell'aria i maggiori successi dell'epoca. Interminabili playlist nelle quali i dj selezionavano brani di Michael Jackson, Stevie Wonder e Diana Ross. Ma quell'anno andava per la maggiore anche un nuovo brano, un riuscitissimo mix di musica disco e funky chiamato Another One Bites the Dust, giunto direttamente dall'altra parte dell'Oceano ad opera di un gruppo chiamato Queen.

Il ritmo del brano ricordava non poco Good Times degli Chic. Nile Rodgers, leggendario chitarrista della band e oggi Capo Consulente Creativo degli altrettanto leggendari Abbey Road Studio, giura di aver avuto accanto l'autore di quel giro di basso, John Deacon, durante la lavorazione della sua canzone. Tuttavia, le enormi qualità del pezzo consentirono ai Queen di evitare accuse di plagio e soprattutto di raggiungere in sole tre settimane il primo posto nelle classifiche R&B e pop statunitensi, tanto da essere scambiata per una band di colore. Immaginate la sorpresa degli ascoltatori americani nello scoprire di aver appena agitato testa e braccia fuori dal finestrino con una canzone arrivata direttamente dal Vecchio Continente e suonata da una rock band britannica sopravvissuta agli anni '70 e che in America non aveva ancora del tutto spopolato.

Tuttavia, ciò che lasciava stupefatti era il confronto tra questo brano così meravigliosamente funky e tutta la produzione precedente dei Queen, sebbene qualcuno abbia sempre fatto risalire a Fun It (1978, autore Roger Taylor) il primo vero tentativo della band di approcciare con un genere che avrebbero definitivamente conquistato con Bites The Dust.

Ma la voglia di stupire abbandonando la sicurezza di strade sonore già percorse non deve stupire. I Queen hanno sempre fatto dei cambiamenti uno dei loro imprescindibili marchi di fabbrica. Lo stesso accadde il 30 giugno del 1980 quando la band diede alle stampe l'album The Game, l'ennesimo repentino cambio di rotta. Dopo le sperimentazioni proposte in Jazz e il lungo Crazy Tour, Freddie e soci già nel 1979 avevano deciso che la nuova decade avrebbe dovuto conoscere una band diversa, per niente spaventata dall'idea di affondare a piene mani nelle nuove sonorità che si stavano facendo largo tra le macerie di un glam-rock che non aveva retto agli affondi del punk e della disco.

Non però fu solo il bisogno di sperimentare e reinventarsi, ma anche la capacità di saper leggere i tempi che cambiano a spingere i Queen verso nuove traiettorie musicali. Se la musica stava definitivamente entrando in nuova era, allora anche i Queen dovevano cercare nuovi orizzonti musicali verso cui tendere. Pena, la scomparsa dalle scene.

“Another One Bites the Dust ci ha dato improvvisamente la possibilità di conquistare un mercato discografico che fino a quel momento ci era precluso: il mondo dell'R&B. Passammo in un attimo dal vendere un milione di album a triplicare le copie e in quel momento riuscimmo a fare meglio di chiunque altro.” (Brian May)
 
Prima di registrare The Game, il sound dei Queen era stato caratterizzato dal rock più duro e dal glam. Poi, nel 1975, il singolo Bohemian Rhapsody aveva spalancate le porte al successo internazionale, iscrivendo a pieno titolo il nome dei Queen nel novero dei gruppi più importanti di sempre, al pari dei Beatles e dei Led Zeppelin. A quel singolo e al relativo album (A Night At The Opera) erano seguiti altri lavori di successo, che non hanno mai fatto dubitare circa la possibilità per la band di sopravvivere meglio di tanti altri ai profondi mutamenti in corso nello scenario musicale dell'epoca, peraltro senza mai godere dei favori di una critica quasi sempre spietata.

Alla conclusione degli anni '70 i Queen offrirono uno dei loro album forse meno riusciti (Jazz) e un lungo tour europeo di cui resta traccia indelebile tra i solchi di Live Killers, che rappresenta un vero e proprio campionario di generi e stili differenti, legati comunque da una solida base hard rock.

L'ultimo e più evidente cambiamento venne sviluppato agli albori del 1980. I Queen decisero di intraprendere una direzione che li potesse portare verso un sound più pop e mainstream, non perché volessero piegarsi alle necessità indotte dal mercato, ma perché quello era l'unico modo per sopravvivere e sfuggire alla noia di restare cristallizzati in una sola dimensione. La scelta coincise con il trasferimento del gruppo a Monaco durante l'estate del 1979. Fu presso i Musicland Studios (fondati dal produttore Giorgio Moroder) che Freddie e soci avviarono un fortunato sodalizio con il produttore e ingegnere del suono Reinhold Mack, già noto per le sue collaborazioni con la Light Electric Orchestra.

Una delle prime nuove tracce incise dai Queen presso i Musicland Studios fu Crazy Little Thing Called Love, una composizione scritta da Freddie Mercury che, come narrano le cronache, venne composta nella vasca da bagno dell'Hilton Hotel a Monaco di Baviera. Il risultato fu un energico brano in stile rockabilly, che può essere visto come una sorta di omaggio a Elvis Presley e che certamente si discostava profondamente da tutto quanto fatto dai Queen fino a quel momento. A differenza dei lavori precedenti, la produzione della canzone fu molto rilassata, anche grazie alla rinuncia alle consuete sovraincisioni di voci e strumenti che avevano da sempre caratterizzato il sound della band. Brian May rinunciò addirittura alla sua fedele Red Special e per incidere il suo assolo si affidò ad una Fender Telecaster presa in prestito dalla collezione di Roger Taylor.

La canzone convinse a tal punto i manager della EMI, che si decise di pubblicarla come singolo mentre i Queen stavano ancora lavorando all'album. In linea con il tema anni '50 della canzone, il relativo video promozionale venne girato con i quattro membri del gruppo vestiti di pelle e circondati da alcuni ballerini ad accompagnare Freddie nelle scene principali. Una scelta visiva che rompeva decisamente col passato e che oggi viene un po' dimenticata anche dai fans che misteriosamente non vedono di buon occhio i videoclip realizzati con dei ballerini dimenticando che alla loro band preferita, e a Freddie in particolare, certe cose piacevano parecchio.

Il 45 giri raggiunse il secondo posto nelle classifiche inglesi, ma ottenne addirittura il primo posto in quelle americane nel febbraio del 1980. Era esattamente ciò che serviva ai Queen per iniziare una rapida scalata al mercato statunitense in modo più significativo di quanto fatto fino a quel momento.

Concluse quelle registrazioni (che diedero alla luce anche Coming Soon e Sail Away Sweet Sister), i Queen intrapresero il Crazy Tour che portò la band a suonare in giro per il Regno Unito e parte dell'Europa fino alla fine del 1979. I lavori per The Game ripresero nel febbraio dell'anno successivo, forti del successo del tour e di Crazy Little Thing, ma anche sedotti dalla vita notturna offerta da Monaco, un bel modo per prendersi delle lunghe pause dai Musicland.

Se Crazy Little Thing Called Love fu il tentativo (riuscito) di proporre al pubblico una deliberata rottura stilistica abbracciando il rock del passato, l'uso (una volta orgogliosamente evitato) dei sintetizzatori su un album dei Queen fu il segnale inequivocabile che la band intendeva guardare al futuro evitando di restare aggrappata ad inutili prese di posizione fatte in passato. L’introduzione delle nuove apparecchiature avvenne grazie a Roger Taylor, subito seguito da Freddie, felice di poter mettere le mani su qualcosa di nuovo.

The Game si sviluppò così attraverso nuove influenze sonore, testimoniate da canzoni come Don't Try Suicide, una sperimentazione che mette assieme Jerry Lee Lewis, Little Richard e qualcosa dei Police (ascoltate la chitarra per credere), a conferma di quanto i Queen fossero permeabili alle influenze provenienti da ogni sorta di ambito musicale.

Ma il vero punto di svolta del disco fu rappresentato da Another One Bites The Dust. Scritta da John Deacon, il brano è qualcosa che, come detto, prende pesantemente in prestito alcuni stilemi tipici del funk. Non c'è dubbio che la canzone sia stata influenzata (ma senza esserne un plagio) da Good Times degli Chic. “John Deacon era seduto accanto a me quando è stata registrata Good Times”, ha rivelato Nile Rodgers alla rivista Spin nel 1997.

"Il titolo del brano è una frase da cowboy," ha spiegato John Deacon in una delle interviste contenute nel dvd Greatest Video Hits 1. "All'inizio avevamo solo questa linea di basso e il titolo. Poi, quando siamo andati in studio ho preso tutta una serie di testi che nessuno ha mai visto, tutti dedicati ai cowboys. Ma quando abbiamo registrato la base musicale a Monaco ho pensato che le parole fosse troppo leggere e divertenti rispetto alla base, più dura. Così ho deciso di cambiare il testo nella versione che conoscete tutti."

Con il giro di basso di John Deacon, un sound della batteria più secco e deciso e l'introduzione di alcuni effetti sonori, ciò che venne fuori fu un album capace di rivelare una nuova anima della band, rimasta fedele a se stessa nonostante gli evidenti cambiamenti. Soprattutto le performance di Freddie e Brian non subirono alcun ridimensionamento e i quattro musicisti poterono sperimentare stili e generi ancora più vari che in passato, liberandosi definitivamente del rischio di restare impantanati in un sound e un modo di concepire la propria musica troppo radicalizzato.

Ma naturalmente non fu tutto rosa e fiori e, come ricordano non solo tante biografie ma anche gli stessi componenti del gruppo, all'interno dei Queen i contrasti non mancavano e, in un certo senso, hanno costituito soprattutto negli anni '80 un terreno fertile per spingere la band ad osare sempre di più, sempre sull'orlo dell'ultima, definitiva crisi, ma anche in perfetto equilibrio per non cadere definitivamente nel baratro.

Il 30 giugno del 1980 l'uscita di The Game fu accolta con favore anche da quella stampa che solitamente non apprezzava i lavori dei Queen. Il pubblico da parte sua gratificò la band mandando i vari singoli al primo posto in classifica, anche negli Stati Uniti, il vero terreno da conquistare nella nuova decade.

Sorprendentemente Another One Bites The Dust non è stato considerato inizialmente come singolo e, anzi, ha rischiato di essere scartato dalla tracklist definitiva dell'album. Se alla fine il brano di John Deacon non è rimasto confinato negli archivi il merito va ascritto a un tale di nome... Michael Jackson! Fresco del successo del suo album Off The Wall, Jackson ha frequentato abbastanza i Queen, stringendo un legame di amicizia soprattutto con Freddie, tanto da essere ospite dei loro backstage e degli studi dove registravano. Come ricorda Roger Taylor, fu Michael a insistere perché Bites The Dust uscisse come singolo perché considerava la canzone come un potenziale successo. Naturalmente Jackson aveva perfettamente ragione e il brano conquistò rapidamente le principali radio d'America, comprese quelle che trasmettevano esclusivamente musica R&B, i cui ascoltatori erano peraltro convinti che la band dietro il pezzo fosse di colore. Alla fine, Another One Bites the Dust può essere considerato come il maggior successo commerciale dei Queen proprio per la presa che ottenne sul mercato americano.

Naturalmente al singolo e all'album seguì un tour che consacrò definitivamente i Queen negli Stati Uniti. La band suonò nelle principali arene nord americane, tra cui il leggendario Forum di Los Angeles e il Madison Square Garden di New York.

Nello stesso periodo di The Game venne registrata anche la colonna sonora di Flash Gordon, prima incursione dei Queen nel mondo del cinema e tentativo più compiuto di introdurre l'uso dei sintetizzatori nella loro musica. Un progetto per lo più strumentale e guidato da Brian May che più di tutti infuse nel disco il proprio impegno, anche in veste di produttore. Il disco non ebbe lo stesso successo dei precedenti, ma alcuni dei brani registrati per il film vennero inseriti nella setlist del tour.

Nel 1981 la band partì per il Sud America, in un tour in paesi come il Brasile, l'Argentina,  Venezuela e Messico. Discograficamente invece puntarono tutto sulla loro prima raccolta ufficiale, il Greatest Hits divenuto uno degli album più venduti di sempre e il più venduto nel Regno Unito ancora oggi.

"L'America è un posto in cui siamo diventati adulti. Ad un certo punto eravamo più famosi lì che in patria e Another One Bites The Dust e Crazy Little Thing Called Love sono stati degli enormi successi e penso che ci sia stato un momento in cui siamo stati non solo il gruppo più grande in America, ma probabilmente il più grande al mondo." (Brian May)

Tuttavia nemmeno una superpotenza come i Queen era in grado di mantenere quel livello di successo così alto, soprattutto in un paese complesso come gli Stati Uniti. Il precipitoso declino della loro popolarità nel paese a stelle e strisce iniziò già nel 1982 con la pubblicazione di Hot Space. Il disco nacque come diretta conseguenza del successo di Another One Bites the Dust che impose al gruppo una decisa sterzata verso il funky e la black music, poco gradita soprattutto a Brian e Roger, ma che in quel momento era inevitabile.

Il risultato fu un disco profondamente divisivo, sia tra i componenti del gruppo che per i fans, molti dei quali pensarono che la loro band preferita fosse ormai giunta al capolinea. Paradossalmente i giudizi della critica furono meno severi del solito, ma le vendite fecero segnare dati al ribasso rispetto ai precedenti.

Nonostante la nuova musica proposta dai Queen non sembrasse in grado di rispettare le attese del pubblico, il relativo tour fu comunque un grande successo, merito anche della veste più rock che fu data a brani come Staying Power e Action This Day. L'intenzione era semplicemente quella di dimostrare che i Queen non avevano perso la loro reale natura, almeno per quanto riguardava le performance dal vivo.

Il 15 settembre del 1982 i Queen si esibirono al Forum di Los Angeles. Sarebbe stata l'ultima volta per i quattro membri originali della band.

"E' stata una cosa molto triste. Improvvisamente ci chiedevano di suonare ovunque nel mondo, ma in America le cose erano cambiate, tanto che sentii Freddie dire che solo da morto avrebbe potuto riconquistare il successo da quelle parti.” (Brian May)

Nei successivi nove anni i Queen non riuscirono più ad accedere alla Top Ten delle classifiche americane. Nemmeno Radio Ga Ga e The Works nel 1984 vi riuscirono, nonostante fossero stati salutati dalla stampa e dai fans come un ritorno ai fasti di un tempo. In più, a rendere le cose ancora più complicate per la band, il videoclip di I Want to Break Free fu completamente frainteso, tanto da essere censurato da MTV e in generale criticato da chi non vedeva di buon occhio quattro uomini vestiti da donna. Una scelta stilistica che i puritani a stelle e strisce non riuscirono a cogliere per ciò che era, ovvero una forma di auto-ironia (oltre che un omaggio alla soap-opera Coronation Street).

Tuttavia sarebbe un errore ritenere che la perdita del mercato americano sia dipeso esclusivamente dalle critiche sollevate dal video. Anzi, è probabilmente un'esagerazione passata alle cronache perché spiega in modo più semplice una vicenda che con la musica ha ben poco a che vedere. Di fatto all'epoca per i Queen vi furono seri problemi contrattuali con la casa discografica che distribuiva i loro album negli States. In particolare, l'accordo siglato con la Capitol Records, più che risolvere la questione, la rese ancora più ingarbugliata. Problemi legali dei manager della major (accusati di corruzione) e i disaccordi tra la Capitol e le emittenti radiofoniche americane fecero rapidamente sparire dai palinsesti sia il vecchio che il nuovo materiale dei Queen. Negli anni '80 i passaggi nelle radio erano ancora il veicolo promozionale più efficace e, a differenza di quanto accade oggi, il successo di un singolo o di un intero disco poteva dipendere da quante volte una canzone veniva trasmessa. Il risultato fu che negli USA dei Queen si persero le tracce e indussero la band a rigettare la possibilità di promuovere The Works andando in tour, nonostante una serie di date fossero state se non proprio già programmate almeno messe sul tavolo dei progetti per il biennio 84/85.

Ma se da una parte gli Stati Uniti scivolavano via, dall'altra il resto del mondo non smetteva di abbracciare la band, anche dopo un clamoroso passo falso come quello di Sun City, una serie di concerti che la band decise di fare in Sudafrica quando vigeva ancora il regime segregazionista (su questo ho scritto un articolo che getta comunque una luce diversa sui fatti: PUOI LEGGERLO QUI).

L'aspetto forse più triste e paradossale del rapporto burrascoso con l'America sta nel fatto che la rinascita della popolarità dei Queen anche in quella parte del mondo è iniziata dopo la morte di Freddie, anche grazie al successo ottenuto dal film “Fusi di Testa” e la famosa scena della macchina con Bohemian Rhapsody sparata a tutto volume dai protagonisti della pellicola. Da quel momento in poi iniziò una vera e propria riconciliazione, culminata nel 2001 con l'iscrizione della band nella Rock and Roll Hall Of Fame ed una riscoperta del catalogo della band da parte del pubblico, delle radio e del mondo del cinema e della televisione.

A questo si sono aggiunti in tempi più recenti i tour dei Queen+, prima con Paul Rodgers e poi con Adam Lambert. Soprattutto con la seconda collaborazione il gruppo ha fatto segnare costantemente sold-out anche in luoghi leggendari come il Madison Square Garden, confermando che l'amore per la musica dei Queen è riuscito ad andare anche oltre le difficoltà del passato e il venir meno di Freddie Mercury e anche di John Deacon nella formazione attuale.

E poi tra il 2018 e il 2019 è arrivato Bohemian Rhapsody, il biopic dedicato a Freddie e ai Queen, la cui marcia trionfale, fatta di record di incassi e premi, ha definitivamente consacrato la band in un modo andato probabilmente oltre ogni più rosea aspettativa. Il pubblico americano si è innamorato dell'interpretazione offerta da Rami Malek ma anche della musica contenuta nel film che, al di là degli ovvi compromessi operati tra la sceneggiatura e i fatti reali, ha avuto il merito di raccontare la profonda e positiva energia che i Queen hanno sempre messo nel loro lavoro, nella registrazione di un nuovo album e sul palco.

È probabile che i Queen per lungo tempo non siano stati la band giusta per gli Stati Uniti, per tutta una serie di ragioni che vanno dai gusti musicali a dei fattori culturali spesso difficili da definire e comprendere, ma senza dimenticare quelle vicissitudini contrattuali che comportarono l’impossibilità di promuovere adeguatamente album e singoli almeno fino al 1989. Poi. La drammatica scomparsa di Freddie e la successiva mediazione offerta dal cinema, che da sempre ama raccontare storie di personaggi che dal nulla riescono a raggiungere la vetta, ha finito con l'annullare gli ostacoli che impedivano alla musica di emergere in tutta la sua bellezza ed energia, riportando i Queen al centro dell’attenzione di pubblico e stampa americana.