Intervista esclusiva ad Andrea Boero, fondatore del Freddie Mercury Museum di Zanzibar




Conosciamo davvero poco degli anni vissuti da Freddie Mercury a Zanzibar, brandelli di informazioni trapelati a stento dalle sue scarne dichiarazioni su un periodo del quale evidentemente non ha mai amato parlare. Altre informazioni invece sono arrivate da libri e dichiarazioni di chi lo ha conosciuto che, tuttavia, messe assieme non sono in grado di restituirci una visione completa di quella fase della sua esistenza.



Potremmo dire che i primi anni di Freddie a Zanzibar sono un mistero, proprio come lo sono spesso le isole, luoghi il cui fascino deriva dal contrasto tra la luce del sole che scalda le spiagge e le ombre che si insinuano nell’entroterra. Sarà per questo che i pirati della letteratura hanno sempre celato i loro incredibili tesori proprio sotto le sabbie roventi di un’isola. E che dire poi delle avventure vissute dai naufraghi, da Robinson Crusoe ai più moderni Chuck Noland di Cast Away e i protagonisti di Lost. Ma forse il più grande enigma che le isole hanno in sé è la loro capacità di farti sentire completamente libero e appagato nonostante i confini siano proprio lì di fronte a te, tra le onde che si infrangono sulle spiagge.

Quanto di noi hanno fatto o pensato di fare delle vacanze su un’isola? È una scelta esotica ma tutto sommato ormai piuttosto accessibile e Zanzibar è divenuta negli ultimi anni una delle mete più ambite. Merito del paesaggio incontaminato e delle strutture che garantiscono una grande qualità ricettiva anche per il turista più esigente. E poi perché lì è nato il più grande cantante di tutti i tempi, Freddie Mercury, naturalmente.

Prima ancora di chiamarsi così, quando era solo Farrokh Bulsara, Zanzibar era la sua casa e probabilmente lo sarebbe stata per lungo tempo per gli stravolgimenti di una improvvisa guerra civile non avessero costretto la sua famiglia a fuggire in gran fretta verso il Regno Unito. Un evento certamente drammatico che ha però spalancato le porte alla nascita di un personaggio divenuto leggenda e motivo di vero e proprio pellegrinaggio nella sua città natia, Stone Town.

In realtà la figura di Freddie per Zanzibar è stata per lungo tempo piuttosto ingombrante. Problemi politici e culturali hanno impedito per interi decenni che Zanzibar si fregiasse con orgoglio del titolo di paese di origine del cantante dei Queen. Certo la casa dove hanno abitato i Bulsara è sempre stata chiaramente identificabile e visitabile, eppure su Freddie c’è stata una sorta di reticenza venuta per fortuna meno da qualche anno a questa parte.

Ed è proprio nella casa della famiglia Bulsara che ha preso vita da circa un anno il Freddie Mercury Museum, un luogo interamente dedicato alla voce dei Queen, alla sua storia e al suo retaggio culturale. Ideatore dell’iniziativa un italiano, Andrea Boero che, assieme a Javed Jafferji ha creato letteralmente da zero uno spazio museale di grande impatto visivo e dai contenuti emozionanti per qualsiasi fan dei Queen. Un assaggio dei contenuti del Museo sono disponibili sul sito ufficiale. Altri me li racconta in esclusiva proprio Andrea Boero che, grazie alla collaborazione con Daniela Speranza, ha cortesemente risposto ad alcune domande che ho avuto il piacere di rivolgergli, spinto dalla curiosità di saperne di più sul Museo.

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Anzitutto Andrea voglio darti il benvenuto su Queen Forever Blog e chiederti subito la cosa forse più importante: cos’è il Freddie Mercury Museum?

Il Freddie Mercury Museum è un’iniziativa venuta in mente a me e a Javed Jafferji per onorare e dare un tributo a Freddie Mercury nell’isola nella quale è nato e dove ha trascorso parte dell’infanzia. Il museo è ubicato nel cuore di Stone Town al piano terra del palazzo nel quale la famiglia Bulsara passò gli ultimi anni prima della partenza per l’Inghilterra, dove fu costretta a fuggire a causa della Rivoluzione scoppiata sull’isola.

Il Museo è nato relativamente da poco essendo stato inaugurato lo scorso Novembre in una data estremamente simbolica, quella della morte di Freddie. Anche questa scelta è stata ovviamente un tributo e il nostro obbiettivo è quello di ampliare l’esposizione con materiale sempre nuovo, migliorando costantemente ciò che offriamo ai visitatori.

Zanzibar ha una storia culturale e politica assai complessa e per certi versi la figura di Freddie è stata ingombrante e scomoda a causa della sua sessualità. Come sono cambiate le cose oggi?

Questa domanda è delicata. Zanzibar non nega il fatto che Freddie Mercury sia una leggenda con un numero immenso di fan in tutto il mondo ma, al contempo, essendo un Paese musulmano conservatore deve considerare che lo stile di vita di Freddie non era conforme con gli usi, i costumi, le tradizione e le regole. Da questa contrapposizione emerge un contrasto, una sorta di controversia che però credo sia assolutamente giustificata e sensata e che non ha ostacolato la nascita del Museo né ha oscurato in qualche modo la figura di Freddie stesso.

Quindi il Museo non è meta solo per i turisti.

No, è visitato anche da gente del posto che ne vuole approfondire la storia e il retaggio.

Che impatto ha avuto a Zanzibar Bohemian Rhapsody, il biopic con Rami Malek?

Qui sull’isola c’è una sola sala cinematografica che non gode di un grande afflusso di gente. Comunque il film è arrivato anche qui, ma in una versione con qualche censura, come accaduto anche sui voli della Oman Air. Ma non ha suscitato l’enorme interesse che si è visto in altri paesi. Diciamo che i gusti musicali locali sono differenti.

Andrea Boero (a sinistra) e Javed Jafferji fondatori e direttori del Museo


Torniamo al Museo. Il visitatore cosa può aspettarsi di trovare al suo interno?

Il Museo è suddiviso in diverse sezioni. All’ingresso il visitatore può vedere come era Zanzibar durante gli anni in cui Freddie nacque, tempi in cui l’isola era ancora parte del sultanato dell’Oman. E’ il punto del Museo in cui i visitatori possono vedere il certificato di nascita del piccolo Farrokh e le fotografie dell' ospedale dove Jer diede alla luce il figlio, quelle della scuola elementare e varie altre immagini di Freddie bambino e di lui con la madre, gli altri componenti della sua famiglia e la tata che se ne prendeva cura.

La sala successiva del Museo è dedicata alla religione della comunità Parsi, professata da Freddie e dalla sua famiglia, con varie fotografie che illustrano le tradizioni, i luoghi di culto e l'iniziazione di Freddie allo zoroastrismo. Il certificato di iniziazione, in particolare, è un’esclusiva del Museo donato da un importante membro della comunità Parsi e amico della famiglia Bulsara.

Giungiamo poi nella sezione dedicata agli anni del collegio in India, dove Freddie studiò dagli 8 anni ai 16 anni. Qui si possono vedere tante fotografie che ritraggono Freddie mentre pratica sport, recita assieme agli amici e mentre suona con il suo primo gruppo, gli Hectics, formatosi proprio in collegio.

A riguardo abbiamo anche una parete che raccoglie le testimonianze dirette di persone che hanno avuto modo di frequentare Freddie e di conoscerlo. Tra c’è anche il racconto di Bruce Murray, compagno di collegio e cantante degli Hectics. In quella band Freddie non cantava, ma suonava il pianoforte e fu un’esperienza che gli diede modo di fare molta pratica con lo strumento che poi anni dopo avrebbe suonare anche sul palco con i Queen.

La sezione successiva del Museo è dedicata alle lettere scritte da Freddie di suo pugno e indirizzate agli amici. Qui sono raccontati anche i suoi primi anni londinesi durante i quali lui frequentò la scuola di arte e design nel settore della moda e dove iniziò a muovere i primi passi come artista. Risale anche a quel periodo il suo rapporto con Mary Austin.

Nella sala successiva è allestita la sezione dedicata a Freddie e ai Queen, dove trovano posto tutti gli album realizzati dalla band, accompagnati da tantissimi articoli e didascalie che raccontano la storia del gruppo. 

Abbiamo anche uno spazio dove trova posto un pianoforte a mezza coda donato da un fan a titolo simbolico in onore dello strumento che Freddie suonava, sul quale i visitatori possono ammirare una replica ufficiale della giacca gialla indossata durante il leggendario concerto di Wembley del 1986.

Voglio anche dirti che durante il percorso all’interno del Museo, i visitatori sono accompagnati dalle meravigliose canzoni di Freddie e dei Queen grazie ad un impianto audio che riproduce anche versioni solo voce dei suoi brani più celebri.

Sono esposti anche oggetti personali appartenuti a Freddie?

Sicuramente a breve saremo in grado di esporre anche oggetti appartenuti a Freddie e stiamo preparando un libro dedicato alla sua infanzia ed adolescenza con l’ambizione di definirne il carattere e la personalità grazie alle varie testimonianze che abbiamo raccolto in questi mesi e che continuiamo a mettere assieme in vista dei progetti futuri che ci siamo dati.

Questo sarebbe un grande contributo perché è un periodo assai poco conosciuto di Freddie. I libri che hanno provato a raccontare la sua storia sono sempre concentrati sugli anni con i Queen, mentre del suo periodo di formazione sappiamo davvero poco. Il vostro libro sarà sicuramente un documento prezioso. Ancora a proposito di Freddie e dei suoi talenti: lui era anche un eccellente disegnatore.

Assolutamente si. Era anche molto orgoglioso del suo diploma conseguito in Arte e Design e amava disegnare abiti e vendere le sue creazioni ai tempi in cui gestiva con Roger Taylor una bancarella a Kensington Market. Nel Museo sono esposte le riproduzioni dei suoi quadri. Ovviamente c’è anche una parete dedicata al famoso logo dei Queen, disegnato proprio da Freddie sulla base dei segni zodiacali dei quattro membri del gruppo. A questo proposito abbiamo realizzato per i visitatori delle note che spiegano la simbologia del logo, assieme a varie ipotesi relative alla scelta del nome Mercury.


Come nasce il tuo desiderio di dare vita a questo progetto? Eri già un fan dei Queen e di Freddie o ti sei avvicinato alla sua storia proprio perché vivi a Zanzibar?

Lo conoscevo già, sono sempre stato un fan dei Queen. Suono anche il pianoforte e ho sempre amato moltissimo le sue creazioni e le melodie che riusciva a comporre.

So che il Museo ha ricevuto l’approvazione (e il sostegno) dei Queen. Sei in contatto con la band?

In questa iniziativa siamo partner con la Queen Production Ltd, la società principale che fa capo alla band e che ha al suo vertice lo storico manager Jim Beach, che gestisce tutti i diritti dei Queen, dall’immagine ai concerti, etc. Siamo entrati in contatto con lui grazie a Javed che, a sua volta, era molto vicino a Ruchi Dalal, autorevole membro della comunità Parsi e amico intimo della famiglia Bulsara. È stato Ruci che ci ha fatto conoscere Kashmira, la sorella Freddie e grazie alla quale poi siamo stati introdotti alla Queen Production e quindi a Jim Beach.

Parlando con le persone che hanno conosciuto Freddie, che idea ti sei fatto della sua personalità?

In tal senso posso confermare che tutte le persone con cui abbiamo parlato e che hanno conosciuto Freddie di persona hanno confermato che lui era un ragazzo determinatissimo in tutto.

Il Museo è prettamente incentrato sulla sua immagine professionale. Freddie Mercury era un genio che ha composto canzoni bellissime che sono costantemente presenti in radio, alla televisione, al cinema… Il Museo ha lo scopo di rendere omaggio a questa leggenda e di dimostrare come la determinazione e la visione di ciò che si vuole realizzare possono portarti lontano. Freddie era un performer completo, un musicista, un autore, un frontman e un cantante senza eguali, oltre che una persona estremamente educata e altruista.

Proprio per questo nel Museo, per sottolineare questo aspetto così forte della sua personalità, c’è una delle sue frasi più celebri riprodotta a lettere giganti che recita: “...Non diventerò una rock star, diventerò una leggenda...”


VIDEO: IN TOUR A ZANZIBAR SULLE
ORME DI FREDDIE MERCURY






FREDDIE MERCURY MUSEUM




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