Un racconto d'inverno (omaggio a Freddie Mercury)



Prima di iniziare. Quello che state per leggere è un racconto, nel senso più letterale del termine. È il mio tentativo di dare voce a quell'emozione che mi cattura ogni volta che penso a Freddie e a ciò che Brian, Roger e John devono aver patito all'indomani della sua morte. 

E', soprattutto, un omaggio sincero ad un cantante al quale devo molto, ma è anche un modo per dire grazie a Brian May: lui sa perché. Proprio perché si tratta di un'opera di fantasia, leggendolo vi sembrerà che qualcosa non quadra, quasi che la cronologia dei fatti sia distorta, incongruente. In effetti è proprio così, ma vi invito a leggerlo fino alla fine. Non so se al termine sarete delusi o emozionati. Ma i commenti, qualsiasi essi siano, sono vostri. La responsabilità tutta mia.

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Alle prime luci dell'alba Montreux è immersa nel sonno e una densa nebbia si spande dal lago e inghiotte le case. Una grossa berlina scura procede lentamente lungo le vie, i giri del motore al minimo per non interferire con la quiete di una notte che sembra non voler ancora cedere il passo ad un nuovo giorno. Quante volte Brian è rimasto sveglio proprio in attesa di ammirare quell'attimo così fragile eppure potente che segna il passaggio dall'oscurità alla luce. Ricorda di aver letto qualcosa in proposito molti anni prima. È una memoria che credeva dimenticata e che risale al periodo in cui condivideva una stanza male assortita assieme a Freddie.

Brian ha guidato tutta la notte con calma serafica, calcolando i tempi in modo da arrivare a Montreux senza il rischio di essere visto. Gli abitanti del paese sono abituati da anni alla sua presenza e lui adora il contatto con la gente. Ma quella è una mattina particolare. C'è qualcosa da fare, un'ispirazione da trovare e solo nel silenzio sa di poterne catturare l'essenza. È una visita inaspettata quella. Montreux desta ricordi troppo belli e per questo anche laceranti. Brian ha un vuoto dentro, spesso lo divora. Altre volte riesce a colmarlo. Non sa chi vincerà la partita stavolta. Spesso però ha trovato la risposta nella musica e ci sono delle note che lo hanno catturato. Una melodia suonata al pianoforte pochi giorni prima, improvvisa, non del tutto chiara eppure intensa, come sanno esserlo solo le canzoni. Gli manca qualcosa però. Servono delle parole che raccontino una storia. E Montreux è forse il posto giusto, lì dove assieme a tre amici ha trovato un ricovero sicuro. Lì dove la musica si trasformata in capolavoro così tante volte da non poterci credere. Lì dove un amico ha scelto di riposare.

L'auto giunge infine nel solito parcheggio, nascosto da sguardi indiscreti e che tanti anni prima serviva come punto d'accesso agli studi di registrazione ormai in disuso. Brian scende dall'auto e inarca la schiena, puntando il viso al cielo. Sente piccole gocce di condensa scivolargli lungo le guance. La natura sembra volerne benedire la presenza. Prega che sia davvero così. Conosce già la propria meta, così si incammina a passo sicuro, soddisfatto di essere da solo. Di tanto in tanto osserva l'ora domandandosi se Freddie sarà disposto a lasciare il letto, lui che è così abituato a vivere la notte e a lasciare che il giorno sia merce per gente semplice. Forse è per quello che appena giunge in prossimità della casa decide di soffermarsi qualche istante sulla riva del lago. Ha ancora bisogno del balsamo che il tocco della natura riesce a trasmettergli.

Ancora una volta il lago di Montreux è magnifico, simile ad un immenso occhio azzurro puntato dritto a cielo, le cui ciglia sono i contorni delle cime degli alberi. Brian ne osserva le acque, a tratti limacciose, più limpide man mano che ci si avvicina alla riva. Gli ricorda la vita, con i suoi alti e bassi, con i chiaroscuri di un'esistenza spesso troppo complicata, dolorosa. A ridestarlo da quella ridda di pensieri ci pensano dei rumori che sgorgano improvvisi dalla casa. Freddie è finalmente sveglio e si agita canticchiando una canzone allegra. Vive lì da solo ormai da un po' di tempo e Brian quasi non si capacita che l'amico così eccentrico riesca a prendersi cura di se stesso in totale solitudine. Quando infine Freddie esce da casa Brian è colpito dalla sua naturale eleganza. Si sorridono a distanza e Freddie sembra indugiare un attimo sulla soglia. Poi decide di raggiungere l'amico e si siede accanto a lui.

“Allora se sei qui è perché hai qualcosa per me, dico bene?”. Freddie è così. Non ha bisogno di convenevoli. Ti capisce subito e Brian è ormai convinto di aver fatto la scelta giusta.

“Sai come succede no,” inizia a dire Brian scuotendo la testa di riccioli scuri. “Ero al pianoforte qualche giorno fa e dalle dita sono saltate fuori delle note. Sono buone, lo pensa anche Roger. Però mi manca un testo e stavolta non so da che parte iniziare”.

Freddie inizia a ridere, ma la sua non è una presa in giro. Gli piace sapere che qualcuno ha bisogno delle sue idee. In fondo lui è questo, un cantante. Ci pensa un po' su mentre Brian tira fuori un piccolo registratore dove ha inciso quella melodia a cui non sa ancora dare una voce. La musica si spande leggera nell'aria, sembra danzare assieme alla nebbia che nasconde i contorni delle cose. I due amici restano in silenzio fino alla conclusione del nastro.

“Che te ne pare?” chiede Brian un po' intimorito. Freddie sorride adesso e punta lo sguardo verso un cigno che scivola sull'acqua, simile ad una porcellana giapponese che brilla di un candore che sa di purezza. Gli piacciono quelle note e lo dice senza indugio.

“C'è una nostalgia dentro ed è quello il cuore che devi catturare. E' quella la canzone,” dice mentre già ha mille idee che gli frullano per la testa.

“Odio la nostalgia, odio le cose perdute. Non sopporto la gente che se ne va e non torna. Non posso parlare di questo Fred”. Brian è accigliato, non voleva arrivare a dirlo. Non voleva lanciare un'accusa del genere all'amico. Talvolta però si fa del male proprio a chi si vuole più bene. Non è cinismo, questo Brian e Freddie lo sanno. Si tratta di dirsi le cose per quello che sono. In fondo lui è venuto a Montreux per questo. Perché l'amico è andato via e gli manca. Solo che adesso non vorrebbe essere lì ad usare delle note per confidare a Freddie ciò che ha dentro, anche se non c'è niente di nuovo in tutto questo. È così da tempo, anni ormai.

“Ascoltami bene Brian, perché non sono tipo da ripetermi. Tu non hai composto queste note. Io non ho mai scritto una nota in vita mia. Viene tutto a noi da qualche parte, da un luogo misterioso. Chiamalo paradiso o come preferisci. Però c'è, ci racconta delle storie e tu sei qui per ascoltarla”. Freddie sa di aver colpito Brian che infatti sospira, abbassa le spalle quasi a voler sottolineare il proprio cedimento rispetto a quella realtà. Così non dice nulla e resta in attesa che Freddie gli racconti quella storia. Lui lo fa a modo suo, cantando:

A hand above the water

An angel reaching for the sky

Is it raining in Heaven

Do you want us to cry?

And everywhere the broken-hearted

On every lonely avenue

No-one could reach them

No-one but you

One by one

Only the Good die young

They're only flying to close to the sun

And life goes on

Without you..

Brian si passa le mani sul viso e poi tra i capelli che si annodano ribelli. Li tira, quasi a voler sentire un dolore fisico capace di superare quello che ha dentro, ben più intenso.

“E' perfetto Fred,” dice all'amico mentre questi gli posa delicatamente una mano sulla spalla.

“Potevi aspettarti qualcosa di meno, darling?” gli risponde ridendo. “Che ne dici se adesso gettiamo in fondo al lago tutta questa tristezza e preparo del thé?”.

“Tu che prepari del te? Dici sul serio?”. Brian è sbigottito e divertito, ma decide di fidarsi delle buone intenzioni di Freddie.

“Ok, vada per il thé, ma evita di infornare anche i biscotti. Per quelli non sono ancora pronto” e insieme scoppiano a ridere mentre sulla via fanno capolino altre due autovetture.

“Sono arrivati i ragazzi,” dice Freddie incamminandosi verso casa. “Digli di aspettare qui, così metto in ordine”. Poi sparisce dietro la porta che richiude alle sue spalle lasciando Brian da solo, in attesa di Roger e John. Sono entrambi qui per quella nuova canzone. Parlandone con Roger hanno deciso che è troppo nello stile dei Queen per confinarla nel suo album solista. Ora che c'è un testo sono pronti a mettersi all'opera. Ancora una volta insieme.

I tre si incontrano a metà strada, scambiandosi sorrisi e strette di mano. I convenevoli stavolta servono a rompere il ghiaccio, soprattutto con John che appare sempre più distante. Però è qui e tanto basta.

“Allora, hai finito di scriverla?”, chiede Roger impaziente di rimettersi al lavoro dopo tanti ragionamenti fatti nei mesi scorsi.

“Si e credo di avere anche il titolo. Che ne dite di No-One But You?”. Osserva Roger e John in trepidante attesa, ma l'assenso è immediato, sincero. “Ho anche qualcosa di buono per il testo, andiamo in casa così Fred vi spiega tutto”, dice e in poche falcate raggiunge l'ingresso. Roger e John restano immobili, lo osservano. Vorrebbero dire qualcosa ma lo sgomento è tale da pietrificarli. Brian intanto è proprio di fronte alla porta, posa la mano sulla maniglia e la polvere che si deposita sulle dita lo risveglia, quasi che fino a quel punto vi fosse giunto preda di un sogno. Fa un passo indietro. Osserva le finestre, serrate con le imposte e le erbacce che qua e là hanno fatto capolino tra le assi di legno. Ciò che Brian osserva è una casa disabitata da tempo. Il suo amico non è più lì, da tanto tempo ormai. Allora si volta, torna da Roger e John e sorride, quasi a volersi scusare con loro.

“Andiamo ragazzi, c'è una canzone da registrare. Facciamo il nostro lavoro. Facciamo i Queen”.