Le legittime ma un po’ inutili critiche a Bohemian Rhapsody



Rompiamo gli indugi e superiamo lo stato emotivo post-visione del film. L’accusa principale che viene mossa a Bohemian Rhapsody è la poca accuratezza con cui alcuni fatti storici legati ai Queen sono stati portati sullo schemo e il modo con cui Freddie, ma anche gli altri personaggi del film, sono stati rappresentati.


Impossibile qui elencare tutte le scelte che hanno determinato nei fatti uno scostamento tra ciò che conosciamo dei Queen e ciò che abbiamo visto al cinema. Sono comunque tanti, alcuni minimi, altri certamente più rilevanti, attorno ai quali giustamente è sorto il dibattito in rete tra chi li considera errori imperdonabili e chi invece è stato ben disposto a soprassedervi.

Se avete letto il mio commento al film (lo trovate qui: LA MIA RECENSIONE DEL FILM) sapete già che personalmente appartengo alla seconda categoria, pur non avendo lesinato qualche critica ed evidenziato i limiti e le lacune del film. Diciamo pure che nel mio caso, l’emozione ha ben sopperito alla ricostruzione non del tutto fedele di fatti e personaggi.

Tuttavia, per cimentarmi nel tentativo di spiegare cosa ho visto al cinema, non sono partito dalle emozioni. Ancora prima che il film uscisse al cinema ho cercato di comprendere meglio cosa fosse un biopic. L’analisi di questa particolare categoria cinematografica la trovate qui: I BIOPIC E LA VERITA'.

E poi sono andato alla ricerca delle valutazioni (in questo caso provenienti da siti specializzati) che in precedenza hanno trattato l’argomento analizzando altri film dello stesso genere.

In questo caso i risultati sono interessanti. Prendete, ad esempio, L’Ora Più Buia, incentrato sulla figura di Churchill e grazie al quale Gary Oldman ha vinto l’Oscar come miglior attore protagonista. Il sito MyMovies, pur lodando la prova di Oldman e l’impianto del film, evidenzia quanto segue:

“Condensare un personaggio storico in due ore scarse comporta delle scelte, delle semplificazioni e anche delle invenzioni, comunque giustificate dallo scopo di restituire i tratti salienti per cui merita di essere ricordato. Di Churchill il film lascia in ombra le doti organizzative, le capacità d’impulso, direzione e comando, l’abilità di conciliare politici e militari. Non c’è traccia del suo istinto nella scelta degli uomini a cui affidare l’imponente sforzo bellico.” (fonte: www.mymovies.it)

Un'altra pellicola di grande successo, La Teoria del Tutto, non è rimasta esente da critiche:

“Ci sono film che ci sorprendono e altri che sono rassicuranti e prevedibili come l’orsetto di peluche da bambini. È bene subito anticipare che La teoria del tutto fa decisamente parte di quest’ultima categoria. Uno di quei film che hanno fatto della ricostruzione storica accurata, di attori impeccabili e di una bella arguzia nei dialoghi, quasi un genere a sé. Un’avvertenza per l’uso che suona come un pregio del film, ma anche un limite evidente. Si sarebbe potuto immaginare uno slancio maggiore di realismo, di problematizzazione.” (Fonte: https://www.comingsoon.it/film/la-teoria-del-tutto/50774/recensione/)

E che dire poi di The Queen, film dedicato alla Regina Elisabetta, che racconta il periodo tragico della morte di Lady Diana:

“Un ritratto al femminile immerso nel vetriolo di cui mai si saprà quanto c’è di vero e quanto no.” (fonte: www.cinema4stelle.it)

Restando in ambito musicale, un biopic che viene spesso citato quale metro di paragone proprio per Bohemian Rhapsody, il famigerato The Doors di Oliver Stone, non è stato certamente esente da critiche. Ecco un esempio:

“E’ sempre difficile fare la biografia cinematografica di un artista, tra l'altro contemporaneo, ed elevarlo a santone come ha fatto Oliver Stone. Lui dice di aver sempre adorato Jim Morrison dei Doors, ma il risultato lo rappresenta come un povero pazzo che credeva di essere un nuovo Messia e che vede sfruttata la sua ingenuità per scopi commerciali. Morrison era ossessionato dall'arte in generale, amava il cinema europeo di Godard e di Antonioni, la poesia di Baudelaire e Rimbaud. Non meritava, pur nelle buone intenzioni del regista, un caleidoscopio virtuosistico ma pieno di maniera, dove personaggi come Nico dei Velvet Underground e Andy Warhol vengono rappresentati come macchiette.” Fonte: www.mymovies.it)

Per ogni film ovviamente esistono pareri discordanti, talmente diversi tra loro che sembra impossibile possano trattare lo stesso argomento. E anche capolavori assoluti come i film di Kubrick negli anni hanno ricevuto la loro buona dose di critiche che, meritate o meno, hanno diritto di cittadinanza nel sano dibattito tra le parti. In questo senso non si può certo sperare che Bohemian Rhapsody non subisca la stessa sorte, sebbene ad oggi si possa dire che il pubblico ha tributato alla pellicola un favore difficilmente contestabile, almeno sul piano meramente emozionale.

Ciò non significa che il nostro biopic sia perfetto, ma nemmeno che meriti le stroncature che in alcuni casi tentano di sminuirne il valore. È fuor di dubbio che la ricostruzione cronologica non è perfettamente aderente alla realtà e gli esempi di tali alterazioni sono innumerevoli. Non ne farò però una checklist. Ne trovate in quantità in rete. Basti qui ammettere l’ovvio e cioè che Bohemian Rhapsody non si basa su una sceneggiatura fedele in ogni passo alla realtà storica della band. E nemmeno si può negare la superficialità con la quale sono stati portati sullo schermo alcuni tratti caratteriali dei personaggi, mentre altri non sono nemmeno stati presi in considerazione.

Ma è proprio in questa ambivalenza che è possibile trovare l’effettivo valore del film. Partendo da una considerazione che è anche un presupposto fondamentale da tenere presente: lo spettatore non è uno sciocco perché il cinema, a differenza della televisione, non è uno strumento che inibisce e addormenta ma, anzi, esalta e incuriosisce. In tanti, una volta tornati a casa, avranno iniziato ad approfondire la storia dei Queen e la vita di Freddie. Su questo poi va anche detto che le fonti a disposizione non sono sempre ottimali. È lecito formare un proprio giudizio su Freddie Mercury sulla base delle tante biografie disponibili in libreria? Sono sufficienti i documentari realizzati nel corso degli anni? Le critiche attorno anche a queste fonti sono tali e tante che la risposta somiglia pericolosamente ai giudizi negativi dati sul film.
Data questa premessa, ciò che resta da affrontare è la mera valutazione su quanto Bohemian Rhapsody ci ha voluto raccontare. Non la storia antologica dei Queen e nemmeno la minuziosa rappresentazione delle singole personalità. Men che meno la narrazione approfondita dell’esistenza, per certi versi ancora oscura, di Freddie e della sua famiglia. Perché nulla di tutto questo? Perché il cinema tutto questo non può raccontarlo. Non ne ha il tempo, per così dire, e nemmeno la funzione.

Il cinema, sia che se ne considerino le definizioni più tecniche che quelle filosofiche, non è altro che una rappresentazione, una forma di spettacolo e, quindi, di intrattenimento. I documentari, per quanto siano spesso considerati una forma di arte cinematografica, sono cosa ben diversa da un film. Anche una pellicola potente e storicamente documentata come Schindler’s List è intrattenimento. E lo sono anche film come La Caduta, Jackob il Bugiardo e Platoon. L’elemento storico è solo il punto di partenza attorno al quale costruire, scrivere, disegnare, una narrazione che, nel momento stesso in cui nasce, diventa qualcosa di diverso dalla verità e che a quest’ultima offre un tributo, una celebrazione generata dall’unione di diverse visioni, da quella del regista a quella dei singoli attori, passando per lo sceneggiatore, il produttore e tutte quelle figure che compongono il complesso team che ha realizzato di un film.

In questo senso Hollywood ha fatto incetta di miti storici per costruire il proprio successo. Cecil B. De Mille  (un regista che lo stesso Freddie indicava quale termine di paragone per definire la sontuosità dei Queen ai tempi della promozione di The Miracle), ha preso figure storiche come Cleopatra, i Crociati e Nerone per raccontare delle “storie” che però di storico hanno solo alcune tracce. Non perché gli piacesse debordare dai libri di testo, ma perché questo è il cinema. In caso contrario diventa documentario, col rischio di essere anche un prodotto noioso.

E allora, se Bohemian Rhapsody doveva essere (e lo è) una forma di intrattenimento, criticarne i contenuti appare un mero esercizio di stile, buono per dimostrare le proprie competenze e approfondire gli aspetti tecnici del prodotto finale. Un po’ come fanno quei professori che passano le ore davanti alla tv a cogliere le inesattezze delle equazioni che Sheldon Cooper trascrive sulla lavagna.

Certo si potrebbe dire che in questo caso, raccontando la vita di personaggi reali, sarebbe stato più saggio narrare fatti e persone nel modo più aderente possibile alla realtà. Ma anche qui rischiamo di imbatterci nell’ennesimo punto interrogativo. Quale realtà? O quale verità, se preferite. Quella delle biografie, dei documentari, delle interviste. O magari quelle che ognuno di noi ha elaborato leggendo e guardando tutto questo? Si potrebbe addirittura arriva a stabilire che film come Bohemian Rhapsody ci pongono di fronte al grande dilemma: è la realtà? O solo fantasia? Scegliere uno dei due sarà sempre un atto personale e quindi, per forza di cose, sindacabile da chi ha una visione differente della questione.

Se però si tenta di fare uno sforzo in più, volto al superamento dei limiti insiti nella pellicola, forse ciò che resta è il risultato che il cinema si prefigge da sempre di raggiungere: l’intrattenimento e il divertimento per le masse, per coloro cioè che alla fine di una lunga settimana vogliono immergersi nel buio di una sala e sognare, di cose vere e altre fittizie. Perché in fondo, credere che “in una galassia lontana lontana”, Han Solo sia pronto a salvare la Regina Leyla ci fa bene. Ci rende felici. E Bohemian Rhapsody ha reso felici tante persone. Le stesse che, una volta tornate a casa, possono indagare sulle varie omissioni del film senza che questo intacchi quel senso di gioia che ti resta addosso quando le luci in sala sono tornate ad illuminare i volti emozionati del pubblico.