Raccontare un disco non è cosa da poco. Spesso rileggendo le mie recensioni
del passato (il blog è solo la più recente delle mie attività in rete e
suppongo nemmeno l'ultima) ho la sgradevole sensazione di aver tradito in
qualche modo me stesso, quasi che quell'opinione esposta con così tanta
convinzione in realtà oggi non mi appartenga più. Ascoltare un album e poi
recensirlo somiglia molto a ciò che succede quando si entra per la prima volta
in un'abitazione sconosciuta.
All'iniziale fase di ambientamento in cui i suoni, i colori e gli odori ti
travolgono in un caleidoscopio difficile da sbrigliare, seguono l'adattamento e
quindi la comprensione, presupposto essenziale al puro godimento, o alla
disillusione quando si è più sfortunati. I miei primi passi nei meandri di Live
Killers sono stati un'esperienza disastrosa e il fatto che oggi rappresenti
ancora il mio album dal vivo preferito la dice lunga su quanto tortuosi siano i
percorsi che la musica e l'emozione sanno disegnare, spesso all'insaputa
proprio dell'ascoltatore.
Dopo gli acquisti avventurosi di The Miracle e A Night At The Opera ero uno
fan frastornato, diviso a metà tra due epoche musicali talmente diverse da
farmi dubitare che gli album appartenessero al medesimo repertorio. Se a questo
aggiungete che poco o nulla conoscevo dei Queen, il quadro che ne viene fuori è
dei peggiori: adolescente, con scarse nozioni e due 33 giri agli antipodi. Io
non vorrei essere in quei panni così scomodi, e voi? Ma io dovevo starci per
forza di cose, così sfruttando le riviste musicali che circolavano per casa
grazie ai miei fratelli maggiori appresi che da qualche parte nel misteriosi
mondo di là fuori doveva esserci un disco chiamato “Champions” o qualcosa del
genere (vedete a che livello ero tanti e tanti anni fa?).
Il mio fedele rivenditore di dischi illuminò a quel punto il mio cammino
come un lampione acceso in corrispondenza dello svincolo per Damasco e mi
spiegò che un album del genere non esisteva. Panico, sudori freddi, improvvisa
sudorazione incontrollabile e qualche nuovo brufolo fiorito istantaneamente
sulla mia fronte convinsero il buon Max a vendermi alla modica cifra di 20 mila
lire un doppio vinile dal titolo minaccioso. Fu così che Live Killers giunse a
casa mia, gravido di immagini mai viste prima e titoli quasi tutti sconosciuti.
L'impatto del vinile che gira sul piatto fu terribile e per qualche minuto
credetti di essermi beccato una sonora influenza, di quelle che non passano né
in fretta né senza abbondanti dosi di antibiotici. Mentre una band a quel punto
nuova e sconosciuta irrompeva con violenza dagli altoparlanti dello stereo, una
morsa allo stomaco iniziò a suggerirmi che dopotutto i Queen non erano la mia
band. Troppo rumore, troppe rasoiate alle orecchie per i miei gusti e solo We
Will Rock You (per carità la versione slow!) e pochissime altre cose mi
convinsero a non versare lacrime di sconforto.
Se tutto questo vi sembra esagerato, pensate che alle spalle c'erano dei
genitori desiderosi di stroncare in fretta la nascente ossessione musicale del
figlio. Quale occasione migliore di un disco appena comprato e subito
detestato, tanto da farlo tornare di corsa nella propria custodia?
A questo punto c'è da spiegare come sia possibile che oggi Live Killers
rientra nella ristretta categoria dei miei album preferiti. Non che i Queen ci
abbiano messo grande impegno a farmene preferire altri, visto che la loro
produzione discografica ha puntato soprattutto sugli anni '80, anzi sull'anno
1986. Però qualcosa deve pur essere successo ed è il caso che io ve lo dica,
anche se a questo punto sarebbe divertente mandare la pubblicità o annunciare
il classico “to be continued” di certi film. Ma qui siamo su un Blog e non
posso permettermi troppa suspense, altrimenti quel simpatico contatore lassù
inizierà ad arrancare. E né io né voi vogliamo che accada vero?
To be contin....ah giusto, avevo promesso. Le cose stanno così: la musica
non è un corpo freddo che si accontenta di fare bella mostra di sé su uno
scaffale. È, al contrario, una creatura viva con tanto di radici che seppur
invisibili hanno la forza di insinuarsi negli interstizi dell'anima e lì
germogliare fino a tirarti via, verso la direzione che vuole lei.
È come per i
romanzi: è la storia, non colui che la racconta. Per la musica il principio è
il medesimo: è lei a dirigere le operazioni e l'ascoltatore è un campo di
battaglia da conquistare. Così Live Killers ha schierato intere batterie di
suoni e io alla fine mi sono piegato sotto quei magnifici colpi.
Non è che mi
sia messo di buona lena a riascoltarlo, nella speranza di raccapezzarmi di quel
malessere iniziale. È accaduto che un giorno, quasi in trance, ho deciso di
rimettere sul piatto quei due vinili e invece di ritrovarmi ancora una volta in
una casa sconosciuta e ostile ho scoperto di riconoscerne ogni singolo angolo,
fino all'ultimo granello di polvere. Qualcuno la chiama predestinazione.
A me
piace pensare che i Queen abbiano scritto la loro musica per me e quindi la
conquista era inevitabile. Una semplice questione di tempo. È una soluzione che
vi convince poco? Beh, non sono stato io a eliminare il to be continued, vi
pare?
Live Killers è un album bellissimo, a partire dalla copertina che sul
fronte ci mostra i Queen alla fine di uno show, immersi nel fumo che avvolge il
palco mentre le note dell'inno nazionale inglese conquistano la folla. Sul
fronte invece la band in azione, probabilmente durante We Will Rock You Fast,
visto che Freddie indossa ancora cappello e giacca.
E il Freddie vestito di
pelle vi assicuro che è una goduria visiva assoluta. All'interno dell'LP (o il booklet
per chi si accontenta del meno esaltante cd) una serie infinita di foto tratte
dal tour. Se pensiamo che nel 1979 era molto più complicato per i fans ammirare
certi scatti, è facile intuire quanto fosse gustosa una copertina del genere.
All'interno, in una custodia rossa e una verde i due dischi che compongono
questa sorta di greatest hits live e le note che spiegano da quali concerti le
singole canzoni sono tratte.
A questo punto è giusto specificare un aspetto
tecnico di non poco conto: su Live Killers il lavoro di taglia/cuci è stato
enorme e su vari siti sono online le spiegazioni che illustrano il risultato di
questo procedimento. Secondo alcuni la resa finale è per certi versi una
versione posticcia della realtà dei Queen del tour. Un giudizio così estremo è
dettato dal fatto che alcune canzoni sono letteralmente il risultato della
fusione di due o più esibizioni assieme.
Inoltre sono colpevolmente assenti
canzoni del calibro di Somebody To Love, una scelta francamente
incomprensibile. Forse sono queste le ragioni che già all'epoca fecero dire a
Roger Taylor “odio questo album”.
Tuttavia, Live Killers resta un disco eccezionale, soprattutto dal punto di
vista sonoro. Molti anni fa mi è capitato tra le mani un articolo tratto dalla
rivista Suono, specializzata in alta fedeltà , che indicava proprio questo
doppio live come tra i migliori presenti sul mercato.
Molto probabile che oggi
sia superato da altri lavori, ma è una pietra miliare talmente importante che
pochi giorni fa Radio Capital ha dedicato un'intera serata all'ascolto del
disco. Già il primo solco è in effetti trascinante come poche cose al mondo.
Chi conosce i Queen sa che l'intro con i tuoni è il presagio di uno tzunami
sonoro che il pubblico non vede l'ora di sentire scorrere sulla propria pelle.
E in effetti quando la band arriva sul palco per eseguire brani come We Will
Rock You, Let Me Entertain You e Death On Two Legs, hai la precisa sensazione
che i Queen non intendo concederti tregua. Ogni nota è una sferzata di energia
che ti impedisce di restare seduto e l'unica cosa che ti resta da fare è
correre lungo la stanza immaginando di solcare il palco dal quale la band
racconta la sua storia musicale.
Gli anni '70 per i Queen sono stati eccezionali dal punto di vista creativo
e dal vivo le qualità tecniche di tutti e quattro emergevano con la stessa
intensità di un pugno nei denti. La sezione ritmica costituita dal duo
Taylor/Deacon non credo avesse rivali a quel punto della loro carriera. Ok,
spesso leggerete commenti superlativi su altre band, ma resto convinto che
quella batteria e quel basso siano stati la personificazione della potenza e
della precisione, due qualità rare. Live Killers ha poi il merito di presentare
un Brian May in autentico stato di grazia. Ogni nota della Red Special è un
colpo di rasoio che incide l'anima dell'ascoltare. Gli assoli sanno essere
delicati e duri come macigni, autentici arcobaleni sonori in cui perdersi è
semplicemente meraviglioso.
La voce di Freddie Mercury è altrettanto tagliente e nonostante alla fine
di quel tour fosse giunto in condizioni non eccellenti, l'energia che emana la
sua voce non ha eguali e mai potrà averne. Ascoltarlo significa anche riuscire
a percepirne i movimenti, le pose sfrontate, gli ammiccamenti rivolti al
pubblico. È come se Freddie ti entrasse nella testa per liberare quel terzo
occhio che ti consente di essere tra il pubblico, a pochi passi dal palco
incendiato dalla musica.
I Queen erano tutto questo e anche molto altro.
Difficile descrivere tutto. Ci sono emozioni che non possono essere raccontate
perché la musica è esperienza e in quanto tale va vissuta sulla propria pelle.
E allora spegnete il pc, tirate fuori la vostra copia di Live Killers e alzate
il volume al massimo. Lo sentite in lontananza? Sta arrivando un temporale.
Aprite le finestre, cacciate fuori la testa e iniziate a ballare. Are you ready for the rock? Are you ready for the show?