I 30 ANNI DEL FREDDIE MERCURY TRIBUTE CONCERT


 

Cosa ricordate di quel 20 Aprile del 1992? Come avete seguito il Freddie Mercury Tribute? Io ricordo perfettamente l’agitazione, il gran caldo che faceva somigliare la Pasquetta al primo giorno d’estate. Ero contento perché avevo convinto i miei a restare a casa. Per una volta niente riunioni di famiglia, passeggiate e ore interminabili passate attorno alla tavola. Il mio unico pensiero era rivolto al pomeriggio quando, attorno alle 18, radio e televisione si sarebbero collegate in diretta con lo Stadio di Wembley.

Avevo organizzato tutto da giorno. Mi ero procurato un paio di vhs e le musicassette necessarie per registrare tutto, per non perdere niente e avere l’opportunità di rivedere e risentire ogni cosa con calma nei giorni successivi. Ammesso che fossi sopravvissuto! Perché quando sei un adolescente che ha perso appena pochi mesi prima il tuo cantante preferito, le emozioni che ti scorrono addosso sono amplificate, corrono ad una velocità insostenibile e hai la sensazione di non poter attendere oltre.

E invece c’era da aspettare, quasi un giorno intero, un tempo interminabile che decisi di trascorrere controllando che videoregistratore e impianto stereo funzionassero regolarmente. Nel frattempo seguivo le notizie alla radio e ai telegiornali, perché parliamo di un’epoca senza internet e le informazioni dovevi raccattarle qua e là. Naturalmente avevo fatto incetta di giornali in edicola e la mia camera era invasa da ritagli di giornale e copertine dedicate a Freddie: “La Regina è Morta, Viva la Regina”.

Ricordo la lentezza degli orologi. Le lancette fatte di melassa si spostavano lentamente, troppo lentamente per la mia smania, per quel bisogno quasi doloroso che tutto avesse inizio. Si sta male in quei momenti. E anche tremendamente bene. La consapevolezza più grande, per quanto non fosse del tutto chiara, è che in qualche modo anche chi era a casa poteva considerarsi coinvolto in qualcosa di grande. E unico. Certo, c’era stato il Live Aid e appena tre anni prima l’incredibile concerto a Venezia dei Pink Floyd. Ma un concerto così immenso dedicato ad un solo artista non si era mai visto prima. Solo i Queen potevano tanto. Orgoglio da fan!

Quando finalmente è iniziato il collegamento, il momento in cui la frenesia avrebbe dovuto prendere il sopravvento, è accaduto l’esatto contrario. Attraverso le finestre aperte si poteva percepire l’improvviso vuoto pneumatico prodotto dal silenzio, interrotto solo dalle televisioni tutte sintonizzate sulla stessa frequenza, quella di Video Music, mentre le radio si affidavano alla diretta della Rai.

I primi commenti, le prime interviste furono solo gli atti preparatori per quanto stava per accadere. Nessuno sapeva bene cosa sarebbe successo. Sul palco di Wembley campeggiava la Fenice, un simbolo di rinascita che tentava di scacciare la nostalgia, la morte inconcepibile di chi non dovrebbe poter morire mai. sullo sfondo la gigantesca batteria bianca dei Metallica, coloro a cui era stato concesso l’onore di aprire il concerto. Dopo di loro era annunciata una scaletta immensa, oltre 5 ore di musica.

Poi il boato del pubblico, quando il sole su Londra è ancora alto. Brian May, Roger Taylor e John Deacon sono sul palco. Da soli. Freddie non c’è. Freddie è ovunque, anche accanto a me mentre faccio fatica a non saltare dalla sedia. Osservo i loro sguardi, cerco di non perdere nemmeno una parola e intanto dico loro: Ok ragazzi, siamo qui per voi. Possiamo farcela. The Show Must Go On.

E lo spettacolo inizia e raccontarlo nei dettagli è impossibile. Certe cose bisogna vederle, starci dentro con il cuore. Ogni istante di quel concerto si rivela perfetto e non c’è nulla che possa farti allontanare dallo schermo. Ricordo quando, calata ormai la sera anche sullo Stadio, iniziò la seconda parte del concerto, con i Queen finalmente sul palco a liberare l’energia, quel bisogno estremo di suonare e cantare quelle canzoni, quasi fossero una sorta di preghiera laica per tenere Freddie ancora con noi, almeno per un po’. Non sapevamo ancora che lui sarebbe rimasto qui per sempre.

Ricordo lo sgomento di fronte alla bellezza delle esibizioni, su tutte quella di David Bowie con Annie Lennox e poi George Michael. Ricordo i commenti che arrivavano dalla radio, con i commentatori Rai emozionati almeno quanto noi a casa. Ricordo We Are The Champions cantata da Liza Minnelli e le lacrime, le infinite, dolorose, inconsolabili lacrime quando Freddie è apparso sullo schermo, vestito di corona e mantello.

Ancora oggi a distanza di 30 anni non posso guardare quelle immagini senza provare lo stesso dolore, che poi è solo amore donato ad un uomo che non ho mai conosciuto, le cui canzoni sono perfette per me. E anche per te che stai leggendo queste parole. Lo so come ti senti quando pensi a Freddie. So cosa vuol dire la musica dei Queen per te. Prenditi il tuo tempo, respira, metti su le tue canzoni preferite e considera che nemmeno tre decenni sono riusciti a cancellare la vita, le opere e i sogni di Freddie Mercury. Oggi non celebriamo più la sua morte. Oggi è solo un giorno in più in cui parliamo della leggenda, del mito della Fenice, dell’immortalità dell’arte e della capacità straordinaria della musica di raccontarci chi siamo. Le nostre storie personali sono tutte lì, tra quei solchi, illuminate dalle luci di quel palco. E Freddie è il nostro maestro di cerimonie.