Che cos’è il teatro? Qual è la definizione più
appropriata, quella capace di descriverne le atmosfere, le emozioni che dal
palco arrivano a pervadere la platea fino agli ultimi posti e che accompagna il
pubblico anche quando, ormai tornato a casa, non può fare a meno di ripensare a
una certa scena, a quella battuta che gli ronza nella testa, alla maschera
dell’attore che resta impressa nella memoria?
Nel corso del tempo e soprattutto negli ultimi anni il
teatro è cambiato, forse vinto anche dalla spietata concorrenza di altre forme
di intrattenimento, più facili e immediate. Eppure il teatro non dovrebbe
essere ridotto a mero luogo dove passare una “serata diversa”. Rispetto alla
televisione e anche al cinema, nel teatro c’è qualcosa in più, un elemento
unico e inarrivabile rappresentato dal contatto diretto tra il pubblico e gli
attori. Un legame potente e significativo, che rende lo spettatore partecipe
delle emozioni recitate sul palco e che alla fine genera applausi o magari
anche fischi.
Di quel legame particolarissimo con il pubblico era ben
consapevole EDUARDO SCARPETTA, genio
assoluto del teatro italiano e ideale traghettatore dello stesso dalla rigorosa
tradizione ottocentesca a un’evoluzione più improntata alla libertà e
all’originalità tipica del ‘900.
Scarpetta, per chi non lo sapesse, è stato il capostipite di una generazione di attori certamente più noti con un altro cognome, i De Filippo. I figli (da lui mai riconosciuti) Eduardo, Peppino e Titina sono nomi entrati nell’immaginario collettivo, anche grazie al cinema e alla televisione. Ma all’inizio c’era Eduardo Scarpetta e, in qualche modo, c’è ancora oggi tutte le volte che una delle sue commedie trova posto sul palco o anche su uno schermo, come sta accadendo sempre più spesso.
Autore prolifico e coraggioso, Scarpetta pubblicò anche una
biografia, oggi riproposta da CASTELVECCHI
in una nuova edizione, legittimamente intitolata CINQUANT’ANNI DI PALCOSCENICO. Tanto infatti fu il tempo trascorso da
Eduardo sulla scena partenopea e non solo. Mezzo secolo di risate mai fini a se
stesse ma sempre frutto di una cura maniacale per il testo e la recitazione,
animato da un profondo rispetto per il pubblico e per i componenti delle varie
compagnie teatrali di cui fu fondatore e padre e mai capo o semplice direttore.
Tra le pagine del libro si respira tutta l’atmosfera di
un’epoca ormai lontana e che pure torna a rivivere grazie alla splendida prosa
dell’autore, che mette in scena la propria esistenza lasciando che i protagonisti
della sua carriera artistica recitino ciascuno la propria parte. Quasi un
romanzo più che una biografia, ma anche enorme testimonianza di cos’è stato il
teatro ormai un secolo fa e cosa, in definitiva, dovrebbe essere ancora oggi.
Si inizia, come si conviene ad un testo biografico, dai
primi anni di Scarpetta, vissuti in un clima di semi povertà che tuttavia non
riusciva a spezzarne né lo spirito né i sogni, fin da subito orientati verso la
recitazione con una precoce passione per i pupi e le marionette della
tradizione napoletana (salvo l’iniziale, infantile avversione per una delle
maschere più famose, quella di Pulcinella).
I primi passi nel mondo del teatro, rappresentato
soprattutto dal palco del glorioso San Carlino di Napoli, furono quelli di una
gavetta difficile, che obbligava a lavorare giorno dopo giorno guadagnando
letteralmente un soldo o poco più. Una vita durissima, sopportabile solo da chi
poteva vantare un autentico innamoramento per il teatro e, quindi,
l’accettazione dei sacrifici e delle amarezze che ne derivavano.
Ma non solo duro lavoro. Nel teatro di quel tempo (e
nulla vieta di credere che sia così ancora oggi) Scarpetta dovette lottare
anche contro le invidie, le gelosie che iniziarono a maturare non appena il suo
talento, recitativo prima e autorale poi, si manifestò in tutto il suo fulgore.
Ma erano anche tempi giusti, nei quali i valori del singolo finivano per
prevalere, specie quando riuscivano a fare breccia nel cuore del pubblico. E
Scarpetta in questo fu assoluto maestro, riuscendo a far ridere con commedie
sempre più raffinate, fedeli al teatro dialettale napoletano ma anche orientate
verso la naturale evoluzione che il pubblico stesso richiedeva a gran voce e di
cui Scarpetta seppe essere fine interprete.
Tra testi originali, adattamenti e riduzioni tratte da
altre opere, Scarpetta ha collezionato nei sui cinquant’anni di carriera oltre
settanta lavori, tutti andati in scena con enorme successo e giunti fino a noi
e di cui “Miseria e Nobiltà” è solo una delle tante, tra le più riuscite eppure
non l’unica che meriti di essere ricordata e rappresentata ancora oggi, come in
effetti avviene.
Dall’autobiografia pubblicata da CASTELVECCHI, emerge il ritratto di un uomo che ha saputo credere
in se stesso senza mai un cedimento, animato non da vanità o supponenza, ma da
un amore incondizionato verso il teatro, lo stesso che lo convinse a dare
l’addio alle scene al culmine del proprio successo, quasi un atto di rispetto
nei confronti del pubblico, della propria carriera e del teatro stesso, al
quale aveva dato tutto, ricevendone in cambio fama e gloria.
Un libro come questo merita di essere letto non solo
dall’appassionato, ma anche da chi è in cerca di una parabola artistica dalla
quale apprendere il valore del sacrificio, dell’impegno, di una forma di
dedizione assoluta verso un talento che Scarpetta ha sempre coltivato,
migliorato, raffinato senza un solo istante di sosta, dando vita a quelle storie
grazie alle quali possiamo ancora ridere e sognare, immaginando che in fondo
ciò che avviene sul palco non è altro che un pezzo di vita messo in scena per
raccontarci quel brandello di verità su noi stessi e sugli altri di cui tutti
abbiamo bisogno.
La
sinossi.
Nei suoi cinquant’anni di carriera
Eduardo Scarpetta ha impersonato, reinventandone forme e contenuti, il grande
teatro dialettale napoletano. Era quella l’epoca d’oro di Pulcinella e del San
Carlino, un teatro che sembrava nascere tra i vicoli e i mercati per rivivere,
come in un esilarante distillato, sugli sgarrupati palcoscenici della città di
Napoli.
Nella sua autobiografia Scarpetta ci
racconta ciò che solo lui poteva raccontarci: i dietro le quinte, i dispetti,
le esagerazioni, gli equivoci e le manie di un carrozzone guidato da personaggi
sempre memorabili. Tra loro brilla Antonio Petito, il più grande Pulcinella di
tutti i tempi e il più rispettato e temuto dei capocomici, che viveva per
combinare scherzi (atroci) ai colleghi.
E poi, naturalmente, Scarpetta stesso:
dagli esordi all’affermazione con Don Felice Sciosciammocca, dalla causa
intentatagli da D’Annunzio al successo di Miseria e nobiltà, in un libro di
memorie «così divertenti – disse Benedetto Croce – per i lettori contemporanei,
così utili ai curiosi futuri».
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