Buon compleanno John Deacon



Scrivere di John Deacon è allo stesso tempo facile ed estremamente complicato. La semplicità è data dalla sua carriera, non troppo lunga né articolata, ma di immenso valore artistico.


John è stato l’ultimo membro dei Queen ad unirsi alla band e anche il più giovane dei quattro. Fu scelto per due ragioni: la sua bravura come bassista e l’atteggiamento generale, timido e schivo che a Freddie, Brian e Roger sembrò perfetto per compensare ed equilibrare i loro ego decisamente più incisivi. Col tempo si è rivelata una scelta fortunata per tante altre ragioni.

Sul piano tecnico, John non è un bassista come gli altri. Non poteva esserlo essendo chiamato a suonare con tre musicisti enormi come i suoi compagni di band. Soprattutto con Roger ha creato nel giro di pochissimo tempo una base ritmica granitica su cui Freddie e Brian hanno potuto costruire le loro melodie. Tanto in studio quanto dal vivo, il duo Deacon-Taylor, poi soprannominato Sonic Volcano, ha permesso ai Queen di proporre al pubblico un sound potente, preciso ed elegante pur nella varietà di generi e stili nei quali la band si è cimentata.

I giri di basso di John (pensate ad Under Pressure, ma non limitatevi solo a questo capolavoro) sono entrati letteralmente nella storia della musica, per la semplicità e la freschezza che li contraddistingue. In effetti John ha sempre suonato senza sbavature, senza eccedere in virtuosismi che alla lunga sarebbero solo risultati fuori posto nel quadro musicale generale disegnato dai Queen.

E, in effetti, John Deacon è sempre stato al suo posto. Il che non vuol dire che fosse eccessivamente remissivo. Come hanno raccontato spesso gli altri componenti della band, John aveva quella straordinaria capacità di restare in silenzio per tutta la durata delle lunghe discussioni che coinvolgevano gli altri, salvo poi intervenire nel modo giusto e mettere tutto in ordine, per così dire. Per questo a lui Freddie e soci si affidavano quando si trattava di dover assumere delle decisioni in campo finanziario, dove occorrono pragmatismo e una buona dose di freddezza.

Per questo John è passato alla storia come il più timido dei quattro Queen. probabilmente lo era davvero e, forse, nel corso del tempo, questa sua indole ha finito col prevalere sulla sua capacità di “stare al gioco” e accettare i meccanismi spesso intollerabili del business musicale. Ciò che conta, però, è non considerare il suo modo di essere come una forma di debolezza. Finché è stato parte attiva all’interno dei Queen, la sua presenza ha avuto un peso notevole, più defilato rispetto a quello degli altri magari, ma non meno importante.

Così John ha assunto nel tempo un triplice ruolo: bassista, nume tutelare in questioni di finanza ed esperto di elettronica, propensione quest’ultima che lo ha portato più volte ad escogitare soluzioni tecniche per la band parecchio importanti, su tutte la costruzione di quel piccolo amplificatore chiamato da Brian May Deacy Amp e che ha contribuito alla creazione di un sound unico e riconoscibile tra mille.


Le cose a proposito di John Deacon si fanno ancora più interessanti se consideriamo le sue canzoni. Ne ha scritte pochissime, iniziando in grande ritardo rispetto al resto della band. La sua prima composizione, infatti, risale al terzo album dei Queen (Misfire, da Sheer Heart Attack) ed è una piccola canzone pop che pure rivela un certo talento compositivo ma anche una propensione verso uno stile musicale che, soprattutto negli anni Ottanta, diventerà terreno fertile per il successo del gruppo.
E’ con You’re My Best Friend che John mette in chiaro ciò che è in grado di scrivere. E se pensate che concepire una canzone pop perfetta per un album complesso come A Night At The Opera, allora dovete rivedere in fretta la vostra concezione di bravura. Perché qui siamo ai massimi livelli di difficoltà.

I pezzi successivi (You And I e Who Needs You) possono forse essere considerati episodi minori (ma non ditelo a un fan come me che le adora tutte!), ma quando si arriva al cospetto di Spread Your Wings, allora ci si deve solo mettere in piedi e applaudire, per tributare il giusto omaggio a un capolavoro, fin troppo sottovalutato dalla critica ma non dai fans, che amano letteralmente alla follia questa meraviglia “deaconiana”.

E poi (perdonate qualche saltello qua e là nel tempo) arriviamo a quel fatidico 1980 e alla decisione dei Queen di abbandonare tutto quanto fatto fino a quel momento, dogmi compresi (sparirà, infatti, il leggendario “no synth” dalle note di copertina dei loro album) per lanciarsi verso mete musicali completamente nuove. E’ in quel contesto, fatto di capelli più corti e baffi, giubbotti di pelle e sintetizzatori, che nasce Another One Bites The Dust. Scritta da John pensando al Far West, si trasforma rapidamente in un pezzo funky che guarda con ammirazione agli Chic di Nile Rodgers e proietta i Queen in un modo nuovo e fino a quel momento desideratissimo: gli Stati Uniti d’America. Gli States, proprio grazie al pezzo di John, accolgono finalmente i Queen, portandoli al primo posto in classifica (anche grazie all’amore un po’ pazzo scritto da Freddie) e scambiandoli addirittura per un gruppo black, a ulteriore conferma di quanto la band sia capace di trasformarsi alla bisogna e di fare suo un nuovo stile musicale. Oggi Bites The Dust è una canzone universalmente conosciuta e anche il singolo dei Queen che ha venduto di più. Non male per un giovane e taciturno bassista.

Però mai sottovalutare un timido, perché quando scopre di avere un talento lo alimenta per ottenere quanto prima nuovi importanti traguardi. Così, dopo aver impresso il proprio nome su un altro capolavoro (stavolta collettivo) come Under Pressure, John fa scendere in campo un inno destinato all’immortalità. Il titolo è I Want To Break Free, il significato sarà più volte travisato, ma il risultato è indiscutibilmente grandioso, soprattutto dal punto di vista commerciale.


A metà degli anni Ottanta John regala ancora un paio di meraviglie. One Year Of Love, poco conosciuta dal grande pubblico ma anche questa tra i favoriti dai fans, e Friends Will Be Friends, composta assieme a Freddie e diventata un vero e proprio inno in perfetto stile Queen.

Ovviamente se tutto questo non vi basta, non dovete fare altro che ascoltare tutte le canzoni della band per trovare al loro interno i pezzi di bravura suonati da John. Passare da Milionaire Waltz a The Show Must Go On o A Winter’s Tale è un viaggio musicale che rivela il talento di un musicista di cui non si celebrano mai abbastanza il nome e l’importanza che ha avuto in una macchina complessa come quella dei Queen.

Potremmo dunque fermarci qui e fare finta di non aver citato all’inizio di questo omaggio alla complessità in cui ci si imbatte quando si parla di John Deacon. Ma anche questo è un aspetto che merita di essere trattato, anche se sommariamente e con quella inevitabile dose di superficialità dettata anche dalle poche informazioni a nostra disposizione. Perché John, oltre che tutte quelle cose straordinarie elencate finora, è anche un mistero.

La sua personalità è realmente inesplicabile, fin troppo sfumata per poter essere colta in pieno. Nella sua carriera ha rilasciato poche interviste e alcune delle dichiarazioni a lui attribuite in tempi (relativamente) recenti non sono nemmeno così sicure come si vorrebbe credere. Ha davvero parlato male della We Are The Champions suonata da Brian e Roger con Robbie Williams? È un punto di domanda che non ha trovato ancora un chiarimento definitivo (anche se personalmente sono assai propenso a bollarlo come un fake). Che dire poi dell’annosa questione Queen+: John Deacon è d’accordo con la prosecuzione della band o il suo essere sparito dalle scene va inteso come un implicito rifiuto?

Sorvolando sulle varie teorie che alimentano da sempre il dibattito, possiamo (anzi dobbiamo) aggrapparci alle poche certezze a nostra disposizione. Ne ho già parlato diffusamente in altre occasioni, per cui accettate di buon grado questo rapido elenco: John ha manifestato una certa insofferenza al mondo musicale già a metà degli anni Ottanta; per Innuendo non ha praticamente scritto nulla; è rimasto nei Queen fino al 1997, esibendosi anche a nome della band (Cowdray Ruins) e incidendo come Queen il singolo No-One But You; è rimasto legato a tutte le principali società riconducibili al nome Queen, dismettendo però la sua partecipazione a cose come il Mercury Phoenix Trust e la Queen Touring; lo si è visto l’ultima volta nel 2002 al Dominion Theatre in occasione della prima del musical We Will Rock You; suo figlio Luke ha fatto la comparsa nel biopic Bohemian Rhapsody; John non parla con la stampa da decenni e non condivide nulla con i fan, nemmeno attraverso gli organi ufficiali dei Queen, ma ogni tanto la sua firma compare sui memorabilia messi in vendita per beneficenza; ovviamente il nome di John Deacon è sempre presente in tutte le pubblicazioni che portano il nome del gruppo e che sono riferibili all’era 1971-1991.

Poi naturalmente ci sono le dichiarazioni su di lui rilasciate in questi anni da Brian May e John Deacon, che possono essere riassunte così: John ha deciso di ritirarsi a vita privata e noi rispettiamo il suo desiderio, ma approva tutto quello che facciamo (Brian); John non ha retto alla pressione, non lo vediamo da anni ed è una sorta di sociopatico (Roger).

Quando leggo certe dichiarazioni mi faccio sempre la stessa domanda: sono attendibili? Ci penso perché i Queen sono gli stessi che per lungo tempo hanno negato l’evidenza della malattia di Freddie. Il che non significa che John sia malato, ma solo che sono bravissimi a difendere reciprocamente la propria privacy. E qual è il metodo migliore se non negare di avere dei contatti diretti con lui? Non ci parlo e quindi non chiedermi nulla perché non conosco le risposte. Semplice, no?

Sia come sia, John Deacon è sparito e resta un membro dei Queen “sulla carta”, ovvero dal punto di vista contrattuale. Il che include il diritto di dire la sua sulle decisioni assunte dalla band. che poi John abbia optato per il prosaico “silenzio-assenso” poco cambia nella sostanza: approva ciò che Brian e Roger stanno facendo per conto loro. Il resto fa parte dei dettagli contrattuali che non conosceremo mai.

Personalmente John mi manca e ammetto di non condividere la sua scelta di restare ostinatamente in silenzio. Al giorno d’oggi può bastare un valido social media manager per mantenere i contatti, magari solo per dire “Hey, oggi è Natale miei cari fan. Auguri!”. E invece niente. Eppure resta la speranza che un giorno, magari per i 50 anni di carriera della band (nel 2021) John possa farci una sorpresa. Ci spero, ma non ci credo. Mi dico, e dico anche a voi, pazienza. La sua scelta va rispettata e accettata, magari evitando di costruire su di lui teorie e ipotesi che tanto alla fine non avremo mai modo di verificare.

Soprattutto oggi, giorno del suo compleanno, John Deacon va festeggiato per quello che ci ha regalato, per la musica e i balletti divertenti fatti sul palco. Per quella sua capacità di aver fatto parte dei Queen in modo pacato ma essenziale. In fondo è bello sapere che ci sono le sue canzoni, i suoi giri di basso, il suo amplificatore. Non ci serve altro, davvero. Ci ha dato tanto e lo ha fatto finché lo ha ritenuto giusto.

GRAZIE JOHN. BUONA VITA. E BUON COMPLEANNO