Love Of My Life: lettera (immaginaria) di Freddie Mercury a Mary Austin




Mia cara Mary,

immagino già l'espressione di sorpresa del tuo volto quando Peter suonerà alla porta per consegnarti questa lettera. Quanto tempo è passato dall'ultima volta che hai ricevuto un mio biglietto? Ultimamente ci siamo visti spesso e l'abitudine di scriverti delle lettere o delle brevi cartoline risale ormai ad anni fa, quando la mia vita era fatta di concerti e paesi lontani. 


Oggi è tutto diverso, la mia esistenza è cambiata e nonostante ora ci separino solo pochi minuti di macchina, ho deciso di prendere carta e penna. Spero che il mio corpo mi conceda il tempo necessario. Oggi è una giornata di quelle buone sai. Mi sono svegliato insolitamente presto, ho osservato la costellazione di medicinali riposti sul comò e li ho gettati via in un colpo solo. Peter deve aver sentito il trambusto perché me lo sono ritrovato all'improvviso in camera da letto. Nel guardarlo ho riso di gusto e lui è rimasto interdetto. Credo non fosse più abituato alle mie risate. Ma sai com'è, vederlo piombare in camera tutto trafelato, con indosso ancora il grembiule da lavoro era, beh, buffo. 

Ridere mi ha fatto bene e incredibilmente non ho provato nemmeno quelle fitte al petto che ultimamente mi hanno tenuto bloccato a letto. Così ho chiesto a Peter di aiutarmi a scendere in cucina (adesso ti sto scrivendo circondato di piatti e padelle!) e l'ho mandato via per qualche ora. Lui ovviamente ha protestato, ma alla fine come sempre l'ho avuta vinta io. Così adesso sono da solo in casa e scriverti da qui mi piace, perché riesco a vedere il giardino e il modo con cui il sole fa brillare gli oggetti che mi circondano. Lo so è strano, ma in cucina mi sento a mio agio. In qualche modo mi fa sentire a casa, non in quella che abito oggi. Intendo quella di tanto tempo fa, quando la mia famiglia erano mamma, papà e Kashmira. Oggi ovviamente è tutto diverso, la mia è una strana famiglia e tu ci sei ancora.

Non fare quella faccia, non sono le medicine che mi fanno essere così...malinconico? No, ho smesso di prendere quella robaccia. Ho detto basta sai? Tu non sarai d'accordo ma ormai ho deciso. La scorsa settimana sono riuscito a trascorrere qualche ora in studio e l'unica medicina che mi sono concesso sono stati due bicchieri di vodka. Non approvi nemmeno questo, lo so. La mia Mary, così premurosa. Ma è tutto ok, dico sul serio. È stato un momento fantastico. 

C'era il pianoforte e attorno a me ho avuto i ragazzi, anche loro così attenti ai miei bisogni. Ma io volevo solo buttare giù qualcosa di forte e Roger non ci ha pensato due volte e ha tirato fuori la bottiglia. Poi ho iniziato a cantare la nuova canzone scritta da Brian. Dio mio, non so nemmeno come ho fatto. L'idea di non farcela mi atterriva più del rischio di incontrare quegli stronzi di giornalisti fuori dalla porta. La mia vita è la musica, e se non posso cantare non valgo poi molto, non credi? Ma Mother Love era la canzone giusta. Io e Brian ci abbiamo lavorato assieme, come ai vecchi tempi, anche se il testo l'abbiamo scritto mentre lui era seduto al mio capezzale. L'avresti mai detto? Il capezzale di Mr Mercury! Proprio io che per una notte in più di baldoria l'avrei venduto il letto pur di non dormirci. Tanto per certe cose va bene anche il pavimento.

So a cosa stai pensando: che sono un ragazzaccio e che non perdo mai il vizio. Eppure qualcosa temo di averla persa sul serio. E non mi riferisco alla salute (si fotta lei assieme a questo dannato corpo che non gira più come una volta). Il fatto è che mi guardo dentro e mi sento come paralizzato davanti ad uno specchio che invece di riflettere la mia immagine manda in replica il film della mia vita. Ieri mattina ho quasi creduto che mi fossero spuntati di nuovo i baffi. 

No, non sono impazzito Mary, ma sono sicuro che se avessi fissato un altro po' quello strano trucco sarei finito nel backstage di qualche concerto. E invece l'unico risultato che ho ottenuto è di far preoccupare Peter e Jim, che fuori dalla porta si domandavano perché ci stessi mettendo così tanto. Loro non lo sanno, ma ho rischiato di sparire, di finire letteralmente dall'altra parte dello specchio. La memoria mi sta giocando dei brutti tiri sai. Magari tra un po' solleverò la testa e mi ritroverò magicamente in un camerino e l'adrenalina tornerà a scorrere e io mi sentirò forte. Già, una specie di magia è quello di cui avrei maledettamente bisogno. Ma il tempo dei trucchi è finito e, in un modo o nell'altro, questa è una battaglia persa.

Perdonami Mary se ti scrivo certe cose. Ti domanderai dov'è finito il Fred spensierato, sorridente, con la mano piantata davanti alla bocca perché si vergogna troppo dei denti storti anche davanti a te, tu che sei il mio amore. Ecco, è questa la ragione per cui ti scrivo adesso, proprio ora che sono qui, più morto che vivo (fanculo la retorica, diciamolo una buona volta: morto!), perché tu sei l'amore della mia vita. Lo sei sempre stato. Ma tu questo lo sai già, vero tesoro? 

Ultimamente ho un pensiero fisso che mi fa girare la testa: ne è valsa la pena amore mio? È una domanda che mi scava dentro con insistenza e temo che una mattina di queste (e chissà quante me ne restano ancora) mi ritroverò con un buco in testa a furia di pensarci. Non sono un nostalgico lo sai, a volte detesto anche riguardare vecchie foto e certe volte vorrei dire a Peter di gettare tutti i dischi che mi circondano, tutti i premi e i ricordi di una vita che non mi appartiene più. È come se alla fine Freddie fosse tornato ad essere Farrokh, il dio Mercury sconfitto dall'ordinario Bulsara. Ti pare possibile?

Ricordi quel pomeriggio di tanti anni fa (Dio mio, il tempo mi sfugge tra le dita, potrebbero essere passati millenni) quando eravamo entrambi seduti sul pavimento gelato e io, tenendoti per mano, ti dissi che tra noi non avrebbe potuto funzionare? Cazzo se ero terrorizzato. Mi sentivo come un gatto col pelo diritto sulla schiena, ma tu avevi già capito tutto. Sapevi ogni cosa ben prima di me e non hai fatto altro che aspettare per poi abbracciarmi. Quando penso a questo so che ne è valsa davvero la pena. E ricordi la prima volta che Brian ci ha presentati? 

Eri la sua ragazza e io non avrei mai pensato a te in quel modo. È straordinario come le relazioni tra le persone possano cambiare. In fondo anche con i ragazzi è andata così. Mi piace chiudere gli occhi di tanto in tanto, quando il dolore si fa insopportabile, e ritornare con la mente a quei primi giorni, un tempo lontano in cui i Queen nemmeno esistevano e io ero solamente un ragazzo che si sentiva già una star. Ma ero un maledetto insicuro e per credere in me stesso ho fatto una fatica immane. Solo sul palco ero davvero io. Il palco era come un tuo abbraccio quando alla fine di un tour avevo solo bisogno di sprofondare nell'oblio. Ma tu queste cose le sai già, hai sempre avuto il dono di leggermi dentro ben prima che io mi aprissi a te. Non so esattamente come ci riuscissi ma sei stata una benedizione.

Non voglio rattristarti mia piccola Lily e questa, dopotutto, è una lettera di commiato e qui posso dirti ciò che non avrei la forza (ma credo si tratti di mancanza di coraggio) di spiegarti di persona. Non sopporto l'idea di doverti parlare stando in quel dannato letto, o accucciato sul divano avvolto da dieci coperte che non riescono a estinguere quell'incendio gelido che mi punge fin dentro le ossa. Mi spiace un sacco per i ragazzi sai, loro non lo meritano tutto questo e ho cercato di tenerli lontani il più possibile. 

C'è stato un momento credo in cui questo mio comportamento deve essere risultato incomprensibile, forse addirittura odioso. Io, il grande anfitrione che tiene lontani i suoi compagni di vita. Eppure era necessario, perché vedermi sfiorire accanto a loro era un peso insopportabile, così come leggere nei loro occhi la consapevolezza di ciò che mi stava accadendo. Però ho dovuto dirglielo perché questa stronza di malattia ha una maschera che non si può nascondere, nemmeno se affondi la faccia nel trucco. E dire che ho provato davvero a ingannarla. Chissà se mascherato a quel modo, in mezzo a gorilla e pinguini mi ha fatto sembrato ridicolo. Eppure anche in quel caso credo ne sia valsa la pena. E poi i ragazzi si sono divertiti un sacco. A proposito: chi l'ha pulita la merda di quell'uccello polare?

Il primo ad aver capito come stavano realmente le cose è stato Roger. È giusto così. Abbiamo iniziato insieme, mi conosce da sempre ed è il più forte. Lui ne verrà fuori alla grande. Ha le sue macchine, corre ancora dietro le sottane e sono certo che saprà andare oltre. Invece mi spaventa Brian. Da quando lo conosco ho sempre intravisto in lui una linea malinconica e poi basta ascoltare alcune delle sue canzoni per capirlo. Vorrei che stesse bene, che trovasse nella musica e nei suoi interessi il conforto di cui avrà bisogno. Non credo di averglielo mai detto, ma lui è il mio chitarrista preferito e anche quando agli inizi l'ho obbligato ad ascoltare i miei vecchi dischi di Hendrix pensavo già che lo avrebbe superato. Di John invece non so che pensare. 

Ho l'impressione che quella barriera che c'era nei primi giorni sia riemersa dal profondo e che per lui tutto finirà con me. Non vorrei che lo fosse, ma chi cazzo sono io per dire a John Deacon quello che deve fare? Un sacco di gente pensa che sia il debole del gruppo e invece ha sempre donato a ciascuno di noi un equilibrio senza il quale ci saremmo ammazzati a vicenda, letteralmente. Cavolo parlo già come un trapassato che si guarda alle spalle e fa il punto della situazione. Però continuo a chiedermelo Mary: ne è valsa la pena? E la risposta non cambia.

Devi scusarmi ma adesso sento che la temperatura si è abbassata un po' troppo e temo di aver scritto un mucchio di stronzate. Mi tocco la fronte, forse ho la febbre e credo che il filo logico di questa lettera sia andato a puttane. Però voglio raccontarti ancora una cosa: prima di rientrare a Londra ho trascorso un periodo magnifico giù a Montreux. Una mattina sono uscito per una passeggiata e nonostante l'aria pungente mi sentivo straordinariamente bene. Amo quel posto e la quiete che sa infondere la natura che circonda il lago. Ho scoperto un punto molto speciale, da dove è possibile ammirarne i contorni fino all'orizzonte. Le ore più belle sono quelle in prossimità del tramonto, quando il sole sembra sprofondare nelle acque e gli ultimi cigni raccolgono le briciole che i bambini del posto gli lanciano tirandole fuori dalle tasche. 

Nessuno mi disturba in quei momenti. Non so se sia per rispetto o per timore della sicurezza che secondo loro mi segue di nascosto nella vegetazione. In realtà il mio tempo a Montreux l'ho sempre passato in solitudine, è come entrare in una bolla magica dove i suoni, i colori e i ricordi si sgranano e io torno ad essere il Freddie così amato dalla gente. Già, il pubblico. Ho vissuto per loro, oltre che per me stesso e credo che Montreux, dopo, diventerà una sorta di posto speciale anche per loro. 

Pensavo a questo quando a un certo punto, dopo essermi sincerato di essere da solo, mi sono piazzato davanti al lago e mi sono messo in posa, sai il pugno alzato al cielo e tutto il resto. Ridicolo vero? Eppure ho avuto la sensazione che accanto a me ci fossero anche i ragazzi e, di fronte a noi, al posto dell'acqua un mare infinito di gente. Urlavano il mio nome e io ero felice. Non so per quanto tempo sono rimasto così, immobile, a gustarmi quella specie di viaggio nel tempo. Poi sono ritornato a casa e, passato davanti a uno specchio, mi sono visto con indosso gli abiti di scena e allora ho capito che io, il mio amore per te e ciò che ho fatto con Brian, Roger e John durerà per sempre.

Adesso devo andare, il trucco si sta sciogliendo ma tu non sei un altro dolore da aggiungere alla mia collezione, né un'altra storia d'amore fallita. Tu sei l'amore della mia vita e, nonostante tutto, tu ed io siamo destinati a passare il resto della nostra vita insieme.

Freddie 

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Nota dell'Autorequesta lettera ovviamente non esiste. E' il frutto dell'ispirazione del momento, che arriva tutte le volte che provo a raccontare i Queen in un modo che spero possa risultare originale e diverso dal solito. In qualche modo mi piace pensare che durante la scrittura Freddie mi abbia preso per mano e guidato.