E' difficile star qui a
dare forma ai sentimenti. Le dita trovano le parole a fatica, il
cuore è avvolto in un drappo scuro, pesante come la notte. Non ti
aspetti mai che succeda davvero, sebbene la vita ti abbia insegnato
più volte come deve andare a finire. Continuerà a raccontarmelo
chissà quante altre volte, eppure resterò sempre incredulo, ferito
dalla consapevolezza che dopotutto si muore per davvero.
David Bowie non c'è più.
La sua musica resta. Basterebbe questo per trovare la giusta
consolazione, quella che sempre deve seguire le lacrime (e io questa
mattina ne ho versate davvero tante). Ci lascia un'opera maestosa e
irripetibile, forse non del tutto compresa, come certi quadri che ad
ogni nuova occhiata sanno offrirti una nuova, illuminante
prospettiva. David Bowie non era un cantante, né uno scrittore di
canzoni o un performer. Era ed è, perché al tempo presente voglio
ancora aggrapparmi, almeno oggi, molto più di tutto questo. Quando
sei un artista, passi quasi tutta la vita alla ricerca della materia
giusta per te, quella che sa cedere sotto il movimento delle tue dita
e che riesce ad incarnare perfettamente tutto il mondo che ti porti
dentro. Lui ha fatto ben di più, ha reso la propria esistenza la
tela su cui dipingere. Ha piegato se stesso all'arte, incarnando
mille personaggi, volti e anime intere. Non era una forma di
recitazione, men che meno di mistificazione. Si trattava piuttosto di
una trasformazione, che partiva dal profondo e si manifestava nei
suoi album e nei video.
In queste ore si diranno
tante cose su David Bowie e sulla sua opera. L'ultimo album diventerà
un'icona e quelli che lo hanno preceduto saranno riscoperti,
probabilmente anche dalle nuove generazioni, fino ad oggi ignare
dell'esistenza di questa creatura straordinaria. E poi ci saranno le
tante celebrazioni, tutti saremo in fila per offrire il nostro
tributo, il cordoglio di mille cuori spezzati. È un meccanismo che
noi fans dei Queen conosciamo fin troppo bene, forse proprio per
questo oggi per noi è un giorno così triste. È la solita,
terrificante ferita che riprende il suo lento sanguinare. Puoi
tamponarla e puoi urlare con la musica in sottofondo, ma il senso di
perdita resta lì, inchiodato in un angolo a scrutarti e a ricordarti
che....life is a bitch.
Nel frattempo, a casa di
David è tutto pronto. Si guarda un'ultima volta allo specchio e
sorride alla propria immagine riflessa. Ripensa ai successi, agli
amici, a tutti gli amori che lo hanno scaldato e a quelli che hanno
lasciato rughe indelebili sul suo volto. Si è trovato bene qui, è
stato un posto accogliente questo mondo e lasciarlo gli fa male. Ma
fuori è giunta l'ultima notte, il cielo è punteggiato di stelle e
deve fare in fretta. Esce dalla stanza, ripercorre tutti i corridoi e
respira tranquillo nella quiete. Accanto gli scorrono i cimeli di una
vita intera e tutte le fotografie in cui ha impresso scampoli di
esistenza e sogni. Fuori, in giardino, l'aria è mite nonostante sia
inverno. David cammina nell'erba tagliata, si fa guidare dal debole
frusciare delle fronde degli alberi. Si volta, l'ultima volta per
osservare la sua casa, per imprimersi nella memoria ciò che è
stato. Poi riprende il proprio cammino, fino a raggiungere un piccolo
spazio aperto. Si mette proprio nel mezzo, spalanca le braccia e
fissa le stelle. Quelle brillano, sembrano sorridere e iniziano a
cadere come pioggia di cristallo. Stanotte le stelle ballano per lui.
È la sua ultima danza. Poi arriva la luce e il mondo di David si fa
luminoso. Finalmente, adesso è a casa.
@Last_Horizon