La lezione musicale dei Queen

L'adolescenza è un terreno fertile dove basta gettare un seme affinché questo possa radicarsi nonostante l'inclemenza di una stagione della vita tra le più turbolente. Le radici affondando nel ventre molle di un'esistenza ancora incerta, troppo simile al passo claudicante di un bambino che ha appena iniziato a camminare ma che ha già in sé la protervia del corridore esperto. Quando hai un'età compresa tra i tredici e i diciotto anni (ma è un intervallo di tempo che in alcuni casi si protrae a dismisura) non conosci le mezze misure e tutto assume i contorni dell'assoluto. La compagna del primo banco è la più bella di tutte e tu l'amerai per sempre. Il film che hai visto al cinema lo scorso sabato pomeriggio è il tuo preferito, in assoluto. La musica che ascolti è la migliore di sempre.


Succede quindi che se ti innamori di una band chiamata Queen, la loro musica non può avere rivali e il rischio più grande è di ritrovarti vent'anni dopo (e anche qualcosa di più) seduto davanti al pc a scriverne ancora, quasi che non si tratti solo di note ma di una questione personale, con l'aggravante che più si cresce e più si diventa intransigenti. Non venitemi a raccontare perciò che se qualcuno vi fa presente che magari i Queen non sono poi questo grande fenomeno, l'istinto non vi suggerisca di saltargli alla gola. A volte l'onta va lavata nel sangue. In altri casi è sempre meglio sfogarsi con le parole, credete a me.

Ma lo scontro, per così dire, ideologico resta comunque inevitabile e il buon fan ha bisogno di munirsi dei necessari strumenti per non arrendersi alla stupidità di chi osa criticare Freddie e soci. Come dite? Chiamare qualcuno stupido non è carino? Hey, io qui ci metto la faccia. Abbiate la compiacenza di concedermi qualche sfogo, una tantum s'intende. Dunque, parlavamo di scontro e dei mezzi per vincerlo. Da un bel po' di tempo ho maturato la convinzione che ascoltare i Queen conferisca una qualità piuttosto rara. Si diventa onnivori, musicalmente, of course. Avete presente no? Si mangia, pardon, si ascolta di tutto perché negli album dei Queen coesistono decine di generi musicali diversissimi tra loro. Di base sembra quasi esserci una schizofrenica incoerenza. Che senso ha mettere assieme la musica classica con la disco? O passare dall'hard rock al pop elettronico?

I Queen hanno sempre creduto nella contaminazione dei generi e spesso hanno spinto questa propensione verso lidi lontani, ben poco compresi da pubblico e critica. Un caso eclatante e il progetto Barcelona: combinare rock ed opera a quel livello, ovvero facendo cantare ad un soprano il rock e ad una voce graffiante come quella di Freddie l'opera è qualcosa da far tremare i polsi a chiunque. All'epoca furono soprattutto i giornalisti (ah poveri stolti che non siete altro) a storcere il naso, nonostante fosse palese che il meccanismo funzionava alla perfezione. Anni dopo la fusione tra due generi così differenti è diventata normalità di successo, basti pensare ai tanti Pavarotti & Friends o ad un fenomeno internazionale come il nostro Andrea Bocelli.

Tutto questo, una volta che viene assimilato non solo con le orecchie ma a livello emotivo, genera nell'ascoltatore una fame onnivora, che si indirizza verso cose diametralmente opposte tra loro. I Queen ti abituano alla classica, così come al funky, al blues, passando per mille categorie e variazioni sul tema (glam, barocco, progressive, gospel, disco, pop e l'elenco potrebbe continuare). Può sembrare un argomento di poco conto, ma sappiate che là fuori c'è gente che se in una canzone non ci sono venti minuti di assolo di basso è probabile che sbadiglino preda della noia. Per non parlare di quelli che, se gli fai ascoltare un pezzo più lungo di un minuto e mezzo e suonato da esseri umani e non da computers è probabile che fuggano in qualche privé a stordirsi di mojito.

Ma c'è un altro aspetto interessante. La musica dei Queen riesce a funzionare in qualsiasi declinazione la si proponga. Nel corso degli anni sono usciti numerosi album tributo, ciascuno portatore di un punto di vista. Abbiamo avuto dischi in chiave classica, altri con una vena heavy metal, altri ancora in salsa latina. Sono davvero tanti i musicisti ad essersi cimentati con le canzoni dei Queen e anche la versione musical di We Will Rock You può essere vista come l'ennesima trasposizione di genere. È raro che questo possa accadere e soprattutto funzionare. Ci sono canzoni o intere discografie destinate al confine musicale dato loro dall'autore. Prendete un mezzo straordinario come Shine On You Crazy Diamond: può funzionare davvero solo in quella chiave e tutte le altre appariranno semplicemente storpie, brutte copie del capolavoro originale. Forse è un merito, del resto la Gioconda non è un quadro che possa essere replicato. Eppure anche Mona Lisa ha le sue infinite cover, mille versioni, anche d'autore che si cimentano nel tentativo di espandere l'opera attraverso generi e stili.

Anche questo è un bel incentivo a interessarsi di altri generi e di artisti magari lontani anni luce dai Queen che, dal canto loro, possono essere considerati come equidistanti da tutti. Forse è per questo che Brian May non ha alcun imbarazzo a duettare con gente come Dappy o Lady Ga Ga. Non sono musicisti che mi intrigano e sono convinto che la Ga Ga sparirà rapidamente dall'orizzonte musicale. È un dato di fatto però che Brian ami suonarci assieme, manifestando lodi quasi mai comprese dai fans. A ben vedere molte delle collaborazioni dei quattro Queen sono sempre state piuttosto oscure e mal riuscite (un giorno ne parleremo), ma dietro non possono esserci solo scelte scriteriate. Evidentemente i nostri sono ed erano spinti da quell'istinto musicale onnivoro di cui abbiamo parlato finora. Una vera e propria fame che ti porta al confronto con chi suona in modo diverso da te. Oggi lo chiamano crossover, quasi che sia indispensabile dare un nome al fatto che un rapper possa cantare con un chitarrista rock. O magari che una cantante lirica si metta assieme ad uno strano tipo nato nel glam e nel progressive.

La verità è che i Queen, e quindi la musica, non hanno generi né tantomeno etichette. Le note sono sette ha detto qualcuno e il merito va a chi sa rimescolarle tutte le volte secondo nuove ed imprevedibili combinazioni. A fare la vera differenza è la sensibilità di chi suona. Il musicista è un filtro attraverso cui la musica scorre per arrivare fino a noi. I Queen sono stati, e sono tuttora, un meraviglioso varco, un portale di emozioni in cui non troverete uno stile che ne nega un altro. Non ci sono barriere nei dischi dei Queen perché sono mai stati una band con la puzza sotto il naso. Anzi, loro i cattivi odori, quelli della sala di registrazione o degli stadi gremiti di gente, li andavano a cercare per conquistarli, ad ogni latitudine. Non è un caso che al Live Aid siano stati il gruppo di maggior successo. Non è stato solo merito di una performance enorme. È il linguaggio universale che hanno adottato suonando canzoni tra loro così diverse ad aver conquistato tutti, indistintamente. Perché tra onnivori ci si gira attorno, ci si annusa e infine si comprende di essere fatti della stessa pasta.


@Last_Horizon