Ci
sono alcuni momenti particolari nella vita di ognuno di noi di cui ricordiamo
tutto nonostante il passare del tempo. Sappiamo dire con esattezza dove
eravamo, cosa stavamo facendo e soprattutto quali erano le emozioni che ci
scorrevano addosso.
Era
il 6 Novembre del 1995. Una giornata sorprendentemente calda per essere autunno
inoltrato, con il sole che faceva capolino tra le poche nuvole bianche che
macchiavano il cielo. Io potevo osservarlo dalla finestra della mia classe,
perché all’epoca ero ancora uno studente di informatica presso l’istituto
tecnico della mia città. Osservavo distrattamente il paesaggio mentre in
sottofondo la voce dell’insegnante di turno si perdeva nel caos emotivo che mi
impediva di concentrarmi sulla lezione. Il fatto è che alcune settimane prima
avevo ordinato Made In Heaven, il nuovo e ultimo album dei Queen. Sapevo che
sarebbe arrivato in mattinata e che lo avrei trovato in macchina all’uscita da
scuola. Per averlo subito avevo chiesto, anzi letteralmente imposto, a uno dei
miei fratelli di andarlo a ritirare per conto mio. Ci avevo riflettuto un po’
su quella possibilità, prefigurandomi la corsa verso il negozio e poi il
rientro frettoloso a casa per ascoltarlo. Decisi però di non poter attendere e
quindi l’album sarebbe arrivato così nelle mie mani.
Sapete
come vanno le cose quando desideri che il tempo passi in fretta, vero? Quello,
invece di scendere a miti consigli, rallenta impercettibilmente un po’ per
volta, trasformando un secondo in una manciata di attimi più lunghi, finché non
hai la netta sensazione che un minuto duri esattamente un’ora. O anche più.
Ecco perché al suono liberatorio della campanella fuggii via, scansando gli
studenti più lenti che si ammassavano lungo le scale. Una volta in strada la
ricerca dell’auto di famiglia si trasformò in un istante di frenesia, che si
concluso con un sonoro sbuffo e l’ennesima corsa verso la portiera. Inutile
dire che durante quei pochi passi che ancora mi separavano dalla macchina
immaginai ogni tipo di sciagura che avesse impedito l’arrivo del disco. Una
vocina dentro di me mi diceva che non avrei potuto ascoltare finalmente le
nuove canzoni dei Queen.
Ma
fui fortunato, perché il cd di Made In Heaven mi aspettava nel vano
portaoggetti, avvolto nella bustina con il logo del negozio, un grosso disco in
vinile stretto nelle mani del Discobolo di Mirone, la statua greca che faceva
da logo alla rivendita ormai chiusa da parecchi anni.
A
questo punto i ricordi si fanno più rapidi, come un respiro troppo corto per
far espandere a dovere i polmoni. Mi vedo rientrare a casa e accettare con
l’ennesimo sospiro l’attesa per il pranzo e tutti i convenevoli dovuti alla
famiglia che si riunisce tra chi rientra da scuola e chi dal lavoro. E nel
frattempo il mio sguardo lanciato al disco, posato accanto all’impianto stereo,
pronto per essere ascoltato.
E
poi arriva il momento tanto atteso, che rispetta la liturgia che da sempre
seguo quando acquisto un nuovo disco. Prima lo scarto dell’involucro, cui segue
la lettura delle note di copertina e il primo sguardo ai titoli delle canzoni.
Poi il cd (o il vinile a seconda dei casi) da inserire nel lettore e le cuffie
avvolgenti da indossare per escludere qualsiasi rumore esterno. Ciò che accade
subito dopo il play lo sapete perfettamente anche voi.
Made
In Heaven è un’accecante carezza, ciò di cui tutti i fans dei Queen avevano un
estremo bisogno per lenire il dolore dovuto alla perdita di Freddie. Non ci
serviva altro all’epoca se non la sua voce. E poco importa che non tutti i
brani fossero effettivamente inediti. Il fatto che l’album fosse stato
realizzato seguendo il desiderio di Freddie di lasciare in eredità delle
canzoni mai sentite prime, ci ripagava di quegli anni di autentico buio,
durante i quali tra speculazioni, smentite e speranze sembrava davvero che la
storia dei Queen fosse terminata. Ma avere un capitolo musicale in più, che in
qualche modo chiudeva il cerchio, era la catarsi necessaria, la svolta oltre la
quale i fans potevano fare pace con quella perdita. Freddie probabilmente lo
sapeva e si era dato da fare per regalarci un momento sublime, doloroso e allo
stesso tempo profondamente gioioso.
Perché
in effetti Made In Heaven è un disco che si distacca non di poco dalla
discografia dei Queen. È un disco fatto di luci e ombre, autentica felicità e
nostalgia. Tra quelle tracce si ritrova tutta quella schiera di emozioni che
devono aver vissuto i Queen durante le ultime registrazioni con Freddie e in
quelle successive, portate avanti in tre e completamente con un’enorme sforzo,
soprattutto morale. Ma i Queen non sono mai stati una band desiderosa di
raccontare le ombre e allora Made In Heaven fin dalle prime note è un’esplosione
di luci e colori e quell’invocazione, quel “è un giorno bellissimo” che apre l’album
diventa l’ennesima dichiarazione di intenti. La conferma di ciò che i Queen
sono sempre voluti essere: un gruppo che regala felicità e spensieratezza,
nulla di più, nulla di meno.
Naturalmente
non mancano i momenti più cupi, dettati soprattutto dalla dolente Too Much Love
Will Kill You e da You Don’t Fool Me con le sue atmosfere rarefatte, ma nel suo
complesso Made In Heaven è un disco che seppe regalare sorrisi fin dal primo
ascolto. Ricordo ancora ad esempio, il sorriso che mi apparve sul volto mentre
ascoltavo Let Me Live, con quel meraviglioso intreccio di voci. E certamente
non dimentico le lacrime versate durante Mother Love (un brano che ancora oggi
fatico ad ascoltare) e A Winter’s Tale, che sembra raccontare quel momento di
pacificazione vissuto da Freddie quando lasciò che la malattia facesse il suo
corso. Non per viltà, ma per desiderio di essere finalmente libero, come aveva
sempre voluto.
Ripensando
a quel giorno, a quel primo ascolto, mi rendo conto che Made In Heaven è uno di
quei pochi album di cui si può parlare seguendo due percorsi distinti, ma
destinati a intrecciarsi costantemente. Quello dell’analisi tecnica, canzone
per canzone; e quello più profondo delle emozioni che quei brani riescono a
trasmettere ancora oggi. Ed è su questa strada che vi ho voluto portare con
queste poche parole. Perché un disco è fatto di soluzioni tecniche e
strumentali, ma è soprattutto il risultato di una mediazione tra ciò che
racconta l’artista e quanto riesce a percepire l’ascoltare. Per questo Made In
Heaven è il disco in assoluto più intimo e personale che i Queen abbiano mai
fatto. In esso c’è l’essenza di Freddie, Roger, John e Brian, sia come uomini
che come musicisti. Ma ci siamo anche noi, con le nostre emozioni,
splendidamente spiegate da quelle canzoni, come se fossero state scritte per
noi. Come se fosse il regalo che Freddie Mercury ha voluto cesellare per ognuno
di noi, ammiccando con quel suo fare un po’ strafottente che gli fa dire: “Hey
darling, questo è per te. Non pensi sia un capolavoro? Ma certo che lo è miei
cari….”