C'è stato un tempo in
cui i duetti era l'eccezione e non la regola, a differenza di quanto
accade oggi, in cui l'uscita di un nuovo album viene (quasi) sempre
annunciata con l'indicazione dell'ennesima collaborazione. In genere
si tratta di un gioco costruito a tavolino, per generare curiosità,
anche laddove il risultato artistico sarebbe dimenticabile e per
conquistare una fetta trasversale di pubblico. Quasi mai ci sono di
mezzo questioni come le contaminazioni artistiche, la voglia di
sperimentare e di misurarsi con storie musicali diversi dalla
propria. È il business che prende il sopravvento sul fare musica.
Poi però accade che un lunedì mattina il mondo venga stravolto
dalla notizia della morte di David Bowie e la memoria non può che
tornare a guardare ai decenni passati, quando la musica era ancora
una forma d'arte, sì legata alla necessità di fare soldi, ma senza
cedere di un millimetro rispetto alla qualità e quindi al rispetto
per i fans. Ed è quindi inevitabile che si sia tornati a parlare di
Under Pressure, che della particolare categoria dei duetti
rappresenta la perfetta definizione, quasi che prima di questo brano
nessuno avesse mai pensato di mettere assieme artisti diversi per
farli “semplicemente” cantare assieme.
E chi più di Brian May
può offrire un resoconto su quanto accade in quei giorni? Lo ha
fatto con un articolo scritto per il Mirror, nel quale ha rievocato i
vari passaggi che portarono alla creazione di questo sorprendente
capolavoro. Non è una storia del tutto inedita, le cronache ci hanno
già raccontato molti aspetti di quelle registrazioni e dagli archivi
è anche trapelato il demo del brano. Tuttavia, oggi più che mai non
può che farci bene, al di là del mero interesse storico, rievocare
quegli istanti in cui cinque musicisti hanno messo in campo tutta la
loro sensibilità per dare vita a un capolavoro senza tempo e senza
termini di paragone. Questa è la storia di Under Pressure.
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“E' capitato di
trovarci contemporaneamente in un piccolo paesino della Svizzera
chiamato Montreux. Negli anni '70 abbiamo lavorato lì nei Mountain
Studios e ci siamo trovati talmente bene da aver deciso con David
Richards di acquistarli per poterci lavorare quando volevamo e lo
abbiamo fatto fino alla morte di Freddie. Nel 1981 David Bowie viveva
proprio in Svizzera e dal momento che già lo conoscevamo un po', un
giorno è venuto a trovarci in sala di registrazione per un saluto.
Lui e David Richards si conoscevano già da tempo e in effetti
avrebbero poi proseguito la loro collaborazione fino agli anni '90.
E' passato molto
tempo e non è facile ricordare tutte le circostanze di
quell'incontro, ma sono sicuro che a un certo punto decidemmo di
suonare assieme per dare un senso a quell'opportunità. All'inizio
provammo canzoni di altri, ma David ci propose di elaborare qualcosa
di nuovo, sotto l'impulso del momento. Così ognuno di noi ha
proposto un contributo, il mio ad esempio fu un pesante riff che mi
girava nella testa. Tuttavia alla fine ci siamo focalizzati su un
giro di basso proposto da Deacy (John Deacon). Ma improvvisamente la
fame ha preso il sopravvento, così abbiamo lasciato gli strumenti da
parte e siamo andati a pranzo in un locale del posto, il Local Vaux,
dove abbiamo proseguito tra cibo e buon vino.
Un paio d'0ore più
tardi siamo tornati in studio e a un certo punto David Bowie disse:
"Che cosa era quel riff di poco fa, Deacy?". Solo che John
inizialmente ne suonò uno diverso, così David replicò: ”No, non
era questo". Fu un momento divertente, perché vidi David che
metteva una mano sul basso di John per fermarlo. Ma è stato anche un
istante complicato, di tensione, e tra di loro sarebbe potuta nascere
una qualche discussione. Il fatto è che a John non andava giù
l'idea di sentirsi dire cosa fare, soprattutto se per ottenerlo gli
venivano imposte delle pressioni fisiche proprio mentre era impegnato
a suonare! Ma John era di buon carattere e così tutto è andato
avanti senza problemi. Così quel giro di basso è diventato il punto
focale attorno al quale suonare a nostra volta e da parte mia ho
iniziato a tracciare la struttura della canzone.
L'approccio che
voleva conferire David alla collaborazione era molto istintivo:
"Dovremmo semplicemente suonare. Qualcosa accadrà" ci
disse e, in effetti, aveva ragione. Qualcosa è davvero successo. Io
ho aggiunto il mio riff di chitarra a quello al basso di John, che
successivamente è stato sovra-inciso con un basso a 12 corde su
espressa richiesta di David. Poi tutto è stato riversato su nastro,
in modo da potervi lavorare. Ricordo che nel riascoltare quanto
avevamo messo assieme dissi “Forte! Suona come gli Who!". A
quel punto David aggrottò la fronte e aggiunse: "Non suonerà
come gli Who. Per il momento abbiamo finito!".
A quel punto non si
poteva ancora dire che esistesse una canzone vera e propria.
Mancavano le parti vocali, non c'era il testo e non aveva nemmeno un
titolo o una vaga idea del tema o del significato che il pezzo
avrebbe affrontato. Avevamo solo una base strumentale, che però ci
colpì profondamente perché era nata in modo spontaneo, qualcosa di
fresco come una rosa. Non potevamo davvero fermarci.
Per proseguire con
lo sviluppo del brano abbiamo adottato una tecnica piuttosto
democratica: ognuno di noi è andato nella cabina dove si
registravano le parti vocali e, senza ascoltare ciò che facevano gli
altri, abbiamo inciso le prime cose che ci venivano in mente,
comprese le parole e le frasi che si accordavano con la struttura
musicale già esistente. Quello fu il momento in cui Freddie tirò
fuori quell'incredibile fraseggio iniziale, molto particolare, che in
realtà abbiamo poi inserito solo nel mix finale.
Il passo successivo
è stato quello di selezionare i vari pezzi cantati da ognuno per
farne una sorta di compilation, un 'best of' delle tracce vocali, da
utilizzare come modello per quelle definitive. Ne è venuto fuori
qualcosa di abbastanza strano, ma anche molto diverso dal solito.
Alla fine siamo andati a casa con questo primo mix, molto rozzo in
quel momento, che abbiamo provvisoriamente intitolato People On
Streets, perché queste parole facevano parte del demo.
Il giorno
successivo abbiamo ripreso il lavoro, e penso che fossimo pronti a
provare delle nuove soluzioni. Tuttavia David aveva già le idee
chiare su dove dovesse andare il brano e riteneva che a quel punto il
più fosse ormai stato fatto. Quindi, per farla breve, questo è
quello che è successo. Abbiamo tutti fatto marcia indietro,
rinunciando ad aggiungere le cose nuove a cui avevamo pensato, e
David si è concentrato sul testo del brano, a cui aveva già deciso
di cambiare il titolo in Under Pressure. Era insolito per noi cedere
il controllo, ma in realtà David stava avendo un momento di genio.
Il resto della
storia è presto detto. Quando giunse il momento di dover realizzare
il mix finale, stranamente io mi tirai indietro, sebbene di solito
fossi l'ultimo a lasciare lo studio (il che avveniva quasi sempre in
tarda notte), e l'incombenza se la presero Roger e David. Roger era
un suo grande fan e spinse molto affinché il brano venisse
completato. In realtà non ottenne molto fino a quando, alcune
settimane dopo, non andò a New York a concludere il lavoro sui
nastri. Quella è una storia completamente diversa, ma io non c'era,
così tutto quello che so è che Freddie e David avevano diversi
punti di vista su come il mix dovesse essere fatto. Così tutto è
finito con un compromesso, ovvero un rapido mix, quasi una sorta di
demo. Ma fu la versione definitiva, quella che finì sul singolo e
poi su Hot Space.
Da allora David e
Roger rimasero in buoni rapporti ed è capitato di incontrarci ancora
a Montreux in occasione del festival del jazz e a casa di Claude
Manopole (ideatore del Festival) o anche presso la casa di Charlie
Chaplin, a Vevey, dove viveva l'ultima moglie dell'attore, grande
amica di David e persona davvero molto ospitale. Ricordo che David
era sempre molto paziente con il mio piccolo ragazzo, mio figlio
Jimmy, giocava con lui sul pavimento con dei giocattoli.
La seconda
occasione in cui abbiamo trascorso molto tempo con David Bowie è
stato per le prove del Freddie Mercury Tribute. Ricordo che ci fu un
momento strano, quando guardai in giro per la sala prove e mi resi
conto che, seduti su alcune sedie di fortuna, in attesa di provare,
c'erano Roger Daltrey, Robert Plant, George Michael e David Bowie.
David fu molto dolce e offrì all'evento un meraviglioso contributo,
tra cui il momento in cui si è inginocchiato per recitare il Padre
Nostro. Se guardate le nostre facce nel video, potete notare quanto
fossimo sorpresi, almeno quanto il pubblicò che restò in silenzio
per tutto il tempo. Poi sul palco David duettò con Annie Lennox
proprio con Under Pressure. Quella notte fu leggendaria. Ma
praticamente tutto quello che ha fatto David lo è.
Mai prevedibile,
dotato di un pensiero non classificabile, immensamente fuori dagli
schemi e senza paura, David Bowie si pone come uno dei più grandi
creatori musicali della Gran Bretagna. Sono orgoglioso di aver
lavorato con lui. Che riposi in pace.
Brian May”
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(Fonte:
www.brianmay.com)