Spesso
quando inizio a scrivere un nuovo Capitolo del Blog (la parte più personale di Queen Forever) parto da un'idea
elaborata per alcuni giorni. Puo' trattarsi, ad esempio, di un buon
incipit sul quale costruisco un ragionamento, proprio come sto
facendo adesso. Ma pensare di conoscere anche il punto di arrivo è
pura utopia perché, quando dal pensiero si passa alla scrittura,
ecco che quest'ultima prende il sopravvento, quasi fosse una sorta di
energia esterna che guida ciò che deve essere scritto e lo conduce
verso una certa direzione che nemmeno io, proprio come voi in questo
momento, conosco ancora del tutto. Viene chiamata ispirazione ed è
quella cosa che fa dire a molti che le storie vengono prima di chi si
fa carico di raccontarle, quasi che il dedicarsi alla creatività sia
una forma di sottomissione ad una pulsione ben più grande, che se ne
sta là fuori in attesa del giusto tramite. E' il demone della
scrittura, che fa sedimentare storie e personaggi in attesa che
l'animo prescelto divenga terreno fertile. Ma accade anche nella
pittura e nella scultura, dove forme e colori prendono il sopravvento
e guidano la mano dell'artista. E, altrettanto, accade nella musica.
Perdonate
questa premessa così personale, ma è un pensiero generato dalla
lettura dell'ultima intervista rilasciata dai Queen e Adam Lambert
(potete leggerla QUI), in particolare da questa dichiarazione di
Roger Taylor: “Capisco
che la gente dica: Non esistono Queen senza Freddie. Lasciateli
andare, perché ci siamo sentiti allo stesso modo appena dopo la sua
morte. Tutti e tre abbiamo detto: Bene, questa è la fine della band.
Ma la band sembra non volerne sapere di morire”.
E' un ragionamento fatto più' volte anche da Brian May, quasi che
entrambi abbiano subito una sorta di richiamo da parte della loro
band, divenuta qualcosa di “altro” rispetto anche a loro stessi.
Eppure ci sono fasi della propria vita che semplicemente giungono
alla loro naturale conclusione e cosa c'eè di piu' definitivo della
morte?
E'
un grosso interrogativo questo, irto di spine e mutevole perché
assume diverse forse a seconda delle persone e delle situazioni. Ma
l'idea che i Queen siano una sorta di forza motrice superiore alla
somma dei suoi componenti ha un che di seducente, forse perché
strettamente correlata con l'idea stessa di creatività. Può lo
scrittore fare a meno di raccontare storie o il pittore di
rappresentare su tela ciò che ha nel cuore? E' in grado lo scultore
di resistere tenace alla volontà di incidere la pietra o magari
l'attore all'impulso di salire sul palcoscenico e rivolgersi al
pubblico non più come se stesso ma come l'Amleto di Shakespeare? La
risposta è ovvia, esplode direttamente dal profondo di chi ha deciso
di dedicare una parte della propria esistenza alla creazione di
qualcosa destinato a se stesso ancora prima che agli altri.
Forse
qualcuno dirà che questa sorta di romanticismo espresso da Roger e
da Brian sia solamente un modo per giustificare se stessi rispetto a
quella parte di pubblico che non condivide certe scelte. E magari si
dirà che anch'io nel mio piccolo non faccio altro che cogliere
l'ennesima occasione per difendere e rivendicare il mio ruolo di fan
a cui sta bene tutto. Eppure la storia dei Queen è piena di scelte
apparentemente contraddittorie che, se viste sulla carta, potevano
anche apparire autolesioniste, per non dire in aperta antitesi con i
desideri dei fans. Pensiamo ai repentini cambi di sonorità e di
immagine o alla scelta di andare in tour in paesi compromessi dalla
dittatura e dalla segregazione razziale. Pensiamo alle continue sfide
lanciate al mercato e quindi anche al pubblico, quasi che i Queen
volessero offrire esattamente il contrario di ciò che ci si sarebbe
aspettato da loro, salvo poi c'entrare il colpo tutte le volte (o
quasi). Oppure torniamo indietro con la memoria ai grandi concerti da
stadio, all'epoca considerati una follia perché troppo dispendiosi e
complicati. E, ancora, non dimentichiamo le carriere soliste, buone
solo per servire alla stampa titoli ad effetto sull'ennesima “crisi”
all'interno della band. Aggiungete voi un ricordo o un'idea su ciò
che i Queen non hanno fatto per calcolo ma per mera ispirazione.
Certo
non si deve nemmeno dimenticare il lato commerciale: i Queen sono
ancora oggi una grande macchina da soldi, ma alzi la mani chi non
vorrebbe guadagnare dal proprio lavoro o chi pensa che fino al 1991
la band non abbia tenuto conto anche di questo fattore. Vi ricordate
il durissimo scontro col loro primo manager? A Freddie semplicemente
non andava bene di guadagnare le briciole, mentre gli altri in quel
dato momento si sarebbero anche accontentati in attesa di tempi
migliori. Fu lui l'intransigente, per mere ragioni economiche direbbe
qualcuno.
Come
discernere allora l'operazione artistica da quella commerciale? Non
credo sia essenziale separare le due cose, che possono benissimo
coesistere e, anzi, completarsi. In fondo anche Michelangelo si
faceva pagare per affrescare la Cappella Sistina, non vi pare? Ma se
con una mano l'artista stringe le monete, con l'altra offre qualcosa
di unico e straordinario, che sarà tale anche se riuscirà ad
emozionare un solo cuore, perché l'emozione generata dalla
creativita' non si misura nel numero di persone raggiunte (questo,
semmai, è l'aspetto curato dal lato commerciale dell'arte). Brian e
Roger oggi continuano a sentire l'irresistibile richiamo della band,
della loro band e credo che questo comporti per loro una grande dose
di dolore oltre che di gioia. Lo si capisce osservandone i visi
talvolta segnati dalla nostalgia e dalla lettura di certe
dichiarazioni. Perché dire "I Queen nonostante tutto non
vogliono morire" è un atto di pura sottomissione all'arte e
all'ispirazione che da essa deriva. Si, anche strizzando un occhio
alla mera convenienza commerciale, proprio come Freddie Mercury ha
fatto per tutta la sua vita. L'arte talvota è simile ad una rosa, i
cui petali hanno la consistenza della seta che scorre leggera sulla
pelle, almeno finché una spina non si conficca nella carne e allora
il dolore di ciò cbe è stato e non può più essere ritorna a
pulsare. Cosa possiamo fare noi fans di fronte a tutto questo?
Sforzarci di capire e provare ad accettare. Ma soprattutto rispettare
l'abnegazione di questi due magnifici musicisti, perché tutte le
volte che salgono sul palco col vessillo dei Queen alle loro spalle,
Brian e Roger è a noi che guardano, ed è a noi che donano sonorità
di velluto, offrondoci al contempo l'opportunità di tenere lontane,
almeno per una notte, tutte le spine.
@Last_Horizon