Intervista a Roger Taylor sul Reader's Digest del 1° Gennaio 2014

Introduzione di Last Horizon.

Quella segue è una bella intervista rilasciata da Roger Taylor sul finire del 2013 e che sarà pubblicata sul famoso Reader's Digest edizione UK. Nel leggerla mi sono reso conto che ricorda molto più una sorta di racconto più che un'intervista. Ho quindi deciso di pubblicarla in una versione meno giornalistica e più orientata alla “confidenza”, quasi che Roger sia proprio qui di fronte a me (e a voi) preda di uno di quei momenti che talvolta colgono quando fuori fa freddo e la pioggia batte forte sulle finestre e lo sguardo si perde nei rifletti del fuoco che arde nel camino. E così accade che il passato torni a rivivere e le parole assumono il gusto sofisticato di un buon vino che Roger certamente gradirebbe, magari mentre sfoglia il suo album dei ricordi...

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Sono nato all’ospedale di King’s Lynn nel Norfolk ma all'età di sette anni la mia famiglia decise di trasferirsi a Truro, la città che considero a tutti gli effetti la mia terra. Mio padre lavorava per una di quelle aziende che all'epoca commerciavano in patate. Si trattava di una sorta di consorzio pubblico e lui fu destinato alla Cornovaglia dopo aver lavorato per anni nel Norfolk. Lo ricordo come un posto bellissimo. Mio padre era originario della zona e andammo a vivere nella vecchia casa di proprietà di mia nonna, una meravigliosa proprietà a due passi dalla spiaggia e circondata da una campagna rigogliosa nella quale potevi perderti per ore in una natura incontaminata. Sono stato fortunato a crescere in un posto del genere e da anni ormai sono ritornato a vivere in quelle zone. Credo di aver sentito il bisogno di tornare a casa e in un certo senso è esattamente quello che ho fatto.




Non è facile spiegare che tipo di musica ascoltassi da ragazzo. Bisogna esserci vissuti negli anni '50 per capirli veramente. In quel periodo la tv era qualcosa di molto limitato ed esisteva solo la BBC che trasmetteva qualche programma musicale con Doris Day e la Light Orchestra, cose che forse oggi non conosce più nessuno. Erano show grigi, in qualche modo austeri e rispecchiavano l'Inghilterra dell'epoca, uscita da pochi anni dai disastri della guerra. Ma proprio in quel periodo fece le sue prime apparizioni Lonnie Donegan. Era il 1957 credo e ne rimasi affascinato. Il giorno dopo portai quell'entusiasmo a scuola e ricordo che giravo tra i miei compagni per chiedergli 'Hey, avete visto Lonnie in tv ieri sera?' Anche a distanza di anni considero la sua musica e il suo stile qualcosa di rivoluzionario perché ascoltarlo ti apriva un mondo, un po' come avvenne anni dopo con l'avvento del punk che riscrisse completamente il linguaggio della musica dell'epoca.

La mia voglia di formare una band è nata così credo, anche se le mie prime esperienze musicali risalgono a quando entrai a far parte del coro della cattedrale che per di più offriva una borsa di studio, così che potevo cantare e non gravare sui miei genitori per quel che riguardava la mia educazione musicale. Però ciò che provai guardando alla tv Lonnie Donegan mi convinse che non era quello il genere di musica adatto a me e decisi che avrei dovuto imparare a suonare la batteria ed entrare in una rock band. Così ho iniziato le prime esperienze con dei gruppi locali e devo dire che nonostante i miei genitori fossero dei puritani mi lasciarono fare e si rivelarono ben più indulgenti di quanto non pensassi.


A 18 anni lasciai la casa dei miei genitori, vincendo le loro ovvie preoccupazioni e mi trasferii grazie ad una borsa di studio a Londra, per frequentare un college. In realtà il mio desiderio era proseguire con la musica e Londra era ovviamente perfetta per realizzare questo sogno. Eravamo sul finire degli anni 60 e il rock era ormai diventato la musica con la M maiuscuola grazie a gente del calibro di Jimy Hendrix e Led Zeppelin. Ma ovviamente ero nella capitale per studiare e così mi iscrissi al London Hospital Medical Collage per studiare odontoiatria, anche se divenni fin da subito un habitué del bar che animava il vicino Imperial Collage. Fu all'Imperial che un giorno mi imbattei in questo ragazzo, uno studente di astronomia. Si chiamava Brian May e mi spiegò che oltre ad occuparsi di stelle suonava anche la chitarra. Provare qualche pezzo assieme fu inevitabile e mi resi conto fin da subito di quanto fosse grande. Diventammo amici e lo siamo ancora oggi.

Alla fine degli anni '60 tentavo ancora di sbarcare il lunario e mi davo da fare per racimolare qualche sterlina. Nel 1969 iniziai a lavorare in una bancarella di abiti usati nel mercato di Kensington. La gestivo assieme a questo tizio, Freddie, che avevo conosciuto perché era una presenza fissa durante le prove e gli spettacoli degli Smile, la band nella quale suonavo con Brian. Per quanto Kensington fosse una delle zone più alla moda della città, io e Freddie vendevamo abiti usati dell'epoca eduardiana, cose che raccattavamo da altri rivenditori e poi mettevamo in bella mostra al mercato. Ricordo che all'epoca, durante questo nostro business non pensavo affatto a Freddie come ad un cantante. Per me era un collega di lavoro. Il mio pazzo collega di lavoro. Se da qualche parte c'era del divertimento puoi star certo che io e Freddie ci facevamo coinvolgere all'istante. Quando i Queen divennero una realtà ma senza essere ancora una band ricca e famosa, Freddie si fermava spesso a dormire a casa dei miei genitori dato che i nostri primi spettacoli li organizzammo proprio dalle parti di Truro. Mia madre lo adorava e ricordo che si arrovellava nel tentativo di capire come Freddie riuscisse ad avere ogni mattina i pantaloni perfettamente stirati. Ma lui aveva il suo trucco: prima di andare a dormire li infilava sotto il materasso, così si stiravano mentre lui dormiva.

La musica oggi è cambiata parecchio rispetto a un tempo. Il successo può arrivarti addosso nel giro di una notte, magari perché il tuo video caricato su youtube ha avuto successo. O magari puoi partecipare a un talent show e in un attimo la tua faccia è ovunque. Per noi la realtà fu ben diversa e ci volle una fatica immensa per conquistare il successo. All'inizio avevamo difficoltà a trovare degli ingaggi per suonare dal vivo nonostante avessimo un paio di singoli in classifica. La svolta, anche economica, arrivò nel 1975 grazie Bohemian Rhapsody e quel dannato video che ci permise di capire di essere finalmente entrati in una categoria superiore. Non eravamo più una band intenta a sbarcare il lunario. Eravamo diventati famosi.


I giornali si sono occupati spesso della mia vita privata, ma per fortuna questo non ha influito negativamente sullo splendido rapporto che ho con i miei cinque figli. Sono diventato padre nel 1980 ed è stato meraviglioso. La gente crede che quando sei ricco essere genitore sia molto più semplice. Non nego che su alcune cose lo sia, tuttavia ancora oggi sono un padre che si preoccupa per ciò che fanno i miei figli e continuo a desiderare il meglio per le loro vite e spero che lavorino sempre sodo e diano il meglio di se. Stiamo spesso tutti assieme anche se averli nella stessa stanza è terrificante perché sono un gruppo parecchio rumoroso.

Ricordare il Live Aid è inevitabile quando ripenso alla nostra carriera. Sapevamo che si trattava di un concerto importante ma Bob Geldof ci chiese di partecipare quando ormai la lista degli artisti era quasi completa e ricordo che non eravamo nemmeno troppo convinti che quel pubblico così eterogeneo fosse davvero interessato a sentirci. In fondo non era il nostro pubblico e questo ci preoccupava un po'. Però quando alla fine salimmo sul palco, la risposta della gente fu stupenda. Il tempo per ciascuna esibizione era molto rigido, circa venti minuti, e quindi sapevamo di avere poco tempo a disposizione ma volevamo dare il meglio, suonando un set che comprendesse un successo dietro l'altro. Ma su quel palco ci fu solo Freddie. Mio Dio, quel giorno era assolutamente scatenato, magnifico.

Far parte dei Queen è stato molto divertente, anche se non posso negare che abbiamo commesso degli errori nel corso degli anni, specie dal punto di vista degli abiti. La cosa strana è che, a proposito di vestiti, tutti parlano sempre del video di I Want To Break Free, ma essermi vestito da donna non mi ha creato e non mi crea oggi alcun problema. Fu una cosa che ci fece ridere un sacco e lo scopo era, appunto, il divertimento. Semmai un video anni '80 che ho davvero difficoltà a rivedere è quello di It's a Hard Life. Eravamo conciati in modo veramente assurdo e non so proprio cosa ci sia venuto in mente (in altre interviste i Queen hanno raccontato che quel video fu un'idea soprattutto di Freddie, il suo personale divertimento, anche estetico, ndt).

A kind of Magic uscì nel 1986 e ovviamente facemmo il relativo tour senza avere idea che quelli sarebbero stati i nostri ultimi concerti. La cosa strana del Freddie frontman è che, sebbene lui fosse uno showman nato, nella vita di tutti i giorni era una persona fondamentalmente timida. Passava un sacco di tempo a dirci di non voler fare più tour, che non lo trovava più divertente come una volta, ma non gli abbiamo mai creduto. Lo conoscevamo e sapevamo che una parte del suo essere desiderava stare sotto i riflettori ed esibirsi davanti al pubblico. Per venti anni posso dire di essermi seduto nel posto migliore del palco e di aver guardato il miglior frontman del mondo. Mi manca? Dio si, tutti i giorni.

Posso dire che i Queen hanno preso parte ad alcuni dei più grandi concerti di sempre, ma confesso che l'esperienza vissuta alla cerimonia di chiusura delle Olimpiadi di Londra è stata la più emozionante. E’ stato un grandissimo onore proprio perché si trattava delle Olimpiadi organizzate dal nostro paese. Quanta gente ci avrà visti quella sera? Non voglio nemmeno pensare alla cifra, altrimenti rischio di andare fuori di testa, davvero. E un'altra cosa di cui vado fiero è che abbiamo suonato dal vivo. Non credo che molti degli altri artisti presenti alla cerimonia possano dire di aver altrettanto, ma non farò nomi.

Forse non sono l'esatto appassionato di motori cui uno potrebbe pensare, ma di certo mi piacciono le belle automobili. Ho anche scritto una canzone su questa passione e dopo averne possedute diverse parecchio scadenti ho deciso di comprarne almeno un paio che valessero qualcosa. La stampa mi ha descritto come un playboy, ma io non ho fatto altro che vivere dei bei momenti in una grande rock band. Ero una rockstar e alle rockstar piacciono le belle auto. Ho sempre avuto una predilezione per la Bentley Continental, ma mi scoccia che oggi sia definita come l'auto dei calciatori. Ma a chi importa? Sono buone auto, veloci e sicure.

E' uscito il mio nuovo album solista, Fun On Earth e sono contento che vi abbia suonato anche mio figlio Rufus. Be With You l'abbiamo scritto insieme, lui ci suona anche il pianoforte e recentemente è venuto in tour con me e Brian per alcuni show dei Queen con Adam Lambert. Rufus è un batterista, proprio come me. Sai, non puoi obbligare i tuoi figli ad amare la musica. E' una cosa che o gli piace oppure no, e a Rufus piace. Sicuramente alla maggior parte dei genitori darebbe fastidio avere in casa un figlio che picchia su ogni oggetto per imitare una batteria, ma quando ho scoperto che lui aveva iniziato a a farlo di nascosto sono stato molto felice, perché ho capito subito che sarebbe diventato un batterista.









@Last_Horizon