Quella mattina del 1975 Freddie era in ritardo. Ognuno lo aspettava a modo suo, animando lo studio di registrazione con voci sussurrate e note accennate alle chitarre. Brian se ne stava seduto su uno sgabello, la Red Special in braccio e le lunghe dita affusolate lasciate correre in libertà lungo la tastiera. John era impegnato in una discussione tecnica con l'ingegnere del suono su come modificare alcuni amplificatori. Nel frattempo Roger guardava in modo ossessivo la porta d'ingresso, sperando che l'amico facesse finalmente capolino in sala. I Queen stavano vivendo settimane impegnative e anche se finalmente potevano avere a disposizione un badget adeguato alle proprie necessità, sapevano di dover rispettare una tabella di marcia. Il pubblico e il mercato attendevano un nuovo album e stavolta doveva trattarsi di un capolavoro.
Quando finalmente Freddie fece il suo
trionfale ingresso in studio portava con se una manciata di fogli
pieni di appunti e dipinto sul volto un sorriso carico di
soddisfazione. Appena Brian lo vide pensò che l'ego del cantante
avesse finalmente prodotto qualcosa pronto per essere ascoltato. “Ho
qui per voi un testo che....cazzo ve lo faccio ascoltare subito” e
Freddie senza nemmeno posizionarsi vicino al microfono intonò le
parole che aveva scritto negli ultimi giorni. Molti anni dopo
ricordando quel momento Brian ha dichiarato: “Ho avuto paura mentre
ascoltavo il testo di Death On Two Legs”. Anche se gli anni
Settanta sono stati una decade sfrontata, un testo velenoso come
quello scritto da Freddie avrebbe spaventato i musicisti più
navigati. In più da quelle parole trasudava un lato di Mercury che
forse fino a quel momento era rimasto celato. Ora che appariva
svelato in modo così sfacciato fu inevitabile per Brian, Roger e
John fissarsi increduli alla prospettiva di dover di lì a poco
cantare quelle stesse parole.
I Queen arrivarono ad incidere A Night
At The Opera nel periodo più tumultuoso e quindi più determinante
della loro carriera. Sfondare negli anni Settanta non era facile.
Ogni nuova band doveva confrontarsi con mostri di assoluta bravura
come i Led Zeppeli, gli Yes, i Beatles e molto altro ancora. Nomi da
far tremare i polsi. In più si erano affidati a un manager senza
scrupoli, Norman Sheffield che assieme al fratello Barry era riuscito
ad intrappolare la band in un contratto grazie al quale la maggior
parte dei proventi finivano proprio nelle tasche di Normal, a
discapito dei Queen sempre più in bolletta nonostante i primi
importanti successi discografici.
Tuttavia i problemi con Sheffield non
furono legati solo a dispute economiche, sebbene le cronache
dell'epoca e quelle successive preferirono puntare soprattutto su
questo aspetto. In realtà c'era molto di più. I Queen e Freddie in
particolare volevano progredire il più possibile nel loro sound e
spesso per farlo era necessario l'acquisto di nuova e più efficace
strumentazione. Capitò un giorno in cui Freddie entrò con la furia
dettata dall'entusiasmo nell'ufficio di Sheffield e pretese
l'immediato acqusito di un nuovo pianoforte. Quando se lo vide negare
per ragioni di budget, il cantante comprese l'effettivo stato delle
cose. Nello stesso periodo John Deacon non aveva ottenuto un anticipo
di 5.000 sterline in occasione del suo matrimonio. Ormai era chiaro
che i cordoni della borsa non si sarebbero mai aperti.
La rottura con i fratelli Sheffield non
fu semplice. Concludere un contratto non è mai facile e quando
accade si scopre il significato di concetti come “penale” e
“responsabilità”. Tuttavia una soluzione fu alla fine trovata e
il conseguente approdo dei Queen sotto l'egida della EMI garantì al
gruppo un'agiatezza economica duratura. In più generò in Freddie la
necessaria spinta propulsiva per creare quell'opera d'arte che è
Death On Two Legs, perfetta nel testo quanto nella musica.
Questa è una delle storie dei primi
anni della carriera dei Queen tra i più raccontati. I fans lo vedono
come il punto di svolta della loro avventura discografica. Per la
band rappresentò la presa di coscienza di quanto complicato potesse
essere far parte del mondo discografico. Un momento di crescita
dunque che si rivelò sì doloroso ma anche essenziale. Recentemente
la vicenda è tornata alla ribalta grazie ad una autobiografia
scritta proprio da Norman Sheffield che, dopo la rottura con i Queen,
ha proseguito la propria attività nel settore. La sua versione dei
fatti appare, per forza di cose, molto diversa. Soprattutto lascia
intendere che alla fine ci sia stato una sorta di riavvicinamento con
il gruppo, in occasione del Freddie Mercury Tribute Concert.
Sheffield racconta di aver incontrato Brian, Roger e John nel
backstage e di essersi intrattenuto con quest'ultimo il quale, anche
a nome degli altri due musicisti, lo avrebbe ringraziato perché
“Senza di te non saremmo mai arrivati fin qui”.
Tutti i fans e anche molti giornali si
sono quindi domandati se, infine, i Queen e lo stesso Freddie non si
fossero in qualche modo pentiti del testo di Death On Two Legs. Le
risposte non hanno tardato ad arrivare. Il primo a farlo è stato
Brian May che dalle pagine del suo sito ufficiale ha smentito in modo
risoluto l'episodio narrato da Sheffield. Il chitarrista è anzi
apparso piuttosto seccato. Del resto quella è la storia dei Queen e
deve aver trovato intollerabile che dopo quaranta anni l'ex manager
tenti ancora di “succhiare il sangue come una sanguisuga”. Nel
frattempo ho cercato di fare le mie personali verifiche e ho
interpellato sulla questione Peter Freestone. Su Peter sono state
dette tante cose, ma di certo è uno dei pochi ad essere rimasto
accanto a Freddie perché era quest'ultimo a volerlo con sé.
Dovrebbe bastare questo per considerarlo fonte attendibile. Ebbene,
alla mia precisa domanda se Freddie si fosse mai pentito di aver
scritto Death On Two Legs, Peter mi ha confermato che no, la sua
opinione sui fratelli Sheffield è rimasta immutata anche a distanza
di molti anni. Per il “re dello schifo” non c'è davvero alcuna
assoluzione.