Possiamo dire che We Will
Rock You è essenzialmente una canzone “a cappella”, tranne che per l’assolo di
Brian? Questa è stata una scelta veramente strana per un singolo rock.
Roger Taylor: In effetti è incisa con un solo uno
strumento, a parte la voce. Non c'è il basso e non c’è una vera batteria, solo
i piedi e le mani che battono e proprio alla fine arriva l’assolo di chitarra.
È una canzone strana. È stata progettata come una canzone per il pubblico, per
trasmettere un senso di unità . Ma non abbiamo mai realmente immaginato che
sarebbe finita con l’essere legata al mondo dello sport.
Brian May: Ci sono due occasioni che hanno ispirato
il brano. Uno di cui ho parlato molto, è stato a Bingley Hall (vicino a
Birmingham, in Inghilterra) dove il pubblico ha cantato ogni nostra canzone e quando
siamo saliti sul palco hanno continuato a cantare e poi hanno cantato l’inno
del Liverpool F.C. "You’ll Never Walk Alone". Era un periodo di
transizione nel mondo del rocl. Se andavi a vedere i Led Zeppelin e The Who,
vedevi il pubblico dimenarsi ma non cantava. We Will Rock You era il nostro
invito a cantare. Quando le luci del concerti si sono spente ho pensato:
"Non dobbiamo combattere questo modo di fare della gente, dovremmo sostenerlo!".
La gente non lo faceva spesso ai concerti di quel tempo. Così pensai:
"Quanto è interessante: se ho scritto qualcosa, il pubblico potrebbe
partecipare allo spettacolo?". Sono andato a dormire e mi sono svegliato
con We Will Rock You" nella testa. Quando sei in uno spettacolo non puoi
muoverti facilmente in mezzo alla folla, ma puoi battere i piedi e cantare e
applaudire.
Ti ricordi da dove è venuto fuori
il ritmo di We Will Rock You?
Brian May: Non so da dove sia arrivata la melodia.
Stava in agguato nella mia testa e volevo fare qualcosa per rappresentare le
tre età dell'uomo: il bambino speranzoso, il grande uomo coraggioso nella prima
parte della sua vita e il vecchio che ha imparato ad accettare il suo posto
nell'universo. È profetico, perché ora sono nella fase 3, allora ero nella fase
1.4. L'altra cosa importante è che mi ricordai il vecchio giardino di Boston,
che era tutto travi di legno e pavimento in legno, e quando la folla faceva
rumore durante il bis, il suono che produceva era come il tuono. Quel suono che
ho sentito era nella mia testa e l'unica domanda era: come riprodurlo in
studio?
Ti sei preoccupato della
reazione della band ad un’idea del genere?
Brian May: Eravamo negli studi di Wessex ed ero
piuttosto nervoso mentre raccontavo ai ragazzi la mia idea: "Quindi, non ci
sono basso e batteria, solo piedi, mani che battono e voci". Così abbiamo iniziato
a battere su queste tavole in questa vecchia chiesa dove abbiamo registrato il
brano. Ne è venuto fuori un buon rumore e così ho pensato, "Replicheremo
un milione di volte il suono delle mani e dei piedi che battono, in modo che sembri
simile ad un pubblico enorme". Ho messo diversi delay su ciascuna
registrazione, quindi non si tratta di una sola registrazione replicata più
volte. In questo modo si ha la sensazione che a battere mani e piedi sia un
pubblico enorme. Lo abbiamo fatto e abbiamo fatto lo stesso con le voci. Abbiamo
fatto finta di essere più persone fino a diventare come una vera e propria
folla. Stavo davvero spingendo oltre i confini di quello che sapevo era stato
fatto in termini di creazione di suoni dal vivo in studio.
È una delle canzoni più usate e rimaneggiate
nella storia del rock. Che effetto vi fa?
Roger Taylor: Queste
sono esattamente le parole che vorrei usare: "spogliata". E’ una
canzone ridotta ai minimi termini, una specie di cosa tribale e primitiva.
Abbiamo catturato lo zeitgeist del tempo, lo stato d'animo. All’epoca stava
arrivando il punk e quanto fatto nel 1977 fu la nostra reazione a quell’avvento.
Avevamo sempre realizzato dischi molto complessi e intricati, stratificati e
complessi. Per News of the World abbiamo inciso un brano, Sheer Heart Attack,
che era un po' punk. E un'altra traccia chiamata Sleeping On The Sidewalk, che
era un blues molto semplice. Consapevolmente realizzammo un album più semplice
dei precedenti.
Brian May: Funzionava
come un sogno, ma in modi diversi rispetto a quelli che ci aspettavamo. Ma ha
funzionato e poco dopo che il pubblico ha iniziato a fare come nella canzone,
battendo mani e piedi.
We Will Rock You deve anche essere un sogno per
ogni batterista, giusto?
Roger Taylor: Fu
un'idea di Brian: "Qual è il battito più semplice che puoi fare?" ed
ccco il risultato. Scrisse tre versi con un coro molto semplice e li abbiamo
registrati più volte, sovraincidendo le varie parti. Brian ha fatto queste
complicate mappe per ottenere i delay (ritardi, ndr) giusti in modo da suonare
come se a battere mani e piedi ci fossero tante persone. Non abbiamo solo
registrando 30 set di mani e piedi, ma anche i relativi ritardi l’uno rispetto
all’altro.
Brian May: Ricordo che Roger
era un po' preoccupato per il fatto che non ci fosse la batteria. Ma a Freddie
andava bene. "Okay, dimmi cosa vuoi e lo faccio”, come del resto lui
faceva sempre. Ti dava sempre dieci volte di più di quanto potessi sperare.
Potete illustrarci le modalità con cui avete
registrato gli elementi percussivi della canzone?
Roger Taylor: Eravamo
in mezzo allo studio, con la pedana di legno della batteria dei Sex Pistols nel
mezzo e un pianoforte a coda. Indossavamo tutti degli stivali con cui abbiamo
battuto sulla pedana, mentre con le mani ovviamente facevamo il resto. Abbiamo
registrato un sacco di volte, con Brian che era il responsabile delle mappe da
seguire per creare l’effetto della folla che batte mani e piedi.
Anche il video di We Will Rock You è notevole
perché sembra girato nella tundra congelata.
Brian May: Lo
ricordo vividamente perché il brano non era stato proposto inizialmente per
essere un singolo, quindi il video è stato un pensiero successivo. Avevamo
appena fatto un video nello stesso posto per Spread Your Wings e così abbiamo
pensato: "Facciamone uno rapido per Rock You”. All'epoca mi sconvolse
perché pensavo che lo stessimo sottovalutando. Lo abbiamo realizzato nel giro
di un’ora con il freddo che ci ha letteralmente congelati. Il resto lo abbiamo
sistemato in studio, tagliando le parti inutili e usando i primi piani. E' stato
un video improvvisato che non dice nulla della canzone. A volte questa può
essere una cosa buona comunque, perché consente a chi lo vede di immaginare la
propria storia per la canzone.
Roger Taylor: Lo
girammo nella casa di campagna che avevo appena acquistato nel Surrey e di cui
la compravendita non era nemmeno completata, quindi non ci fu permesso di
girare in casa. Così abbiamo pensato che potevamo realizzare il video anche
fuori. Era assolutamente freddo, con tre gradi appena. Mi rammarico degli stivali
Wellington che indossai per l’occasione.
Il video di We Are The Champions invece è
qualcosa di completamente diverso.
Roger Taylor: Per
quello abbiamo abbiamo girato ai Drury Lane di Londra e al New London Theatre
con circa 1.000 comparse provenienti dal nostro fan club. Abbiamo provato almeno
50 volte prima di ultimarlo.
A differenza di Bohemiarn Rhapsody, entrambe
le canzoni sono un po' corte, arrivando a somigliare più alle canzoni pop che
ai grandi inni rock.
Brian May: Dipende
dalle sensazioni che avevamo in quel dato momento. Avevamo attraversato
l'enorme fase barocca che ebbe il suo picco in Rhapsody Bohemian. Sentivamo di
correre il rischio di restare intrappolati in quel genere. L'idea quindi fu di
stravolgere tutto. Siamo stati influenzati dagli anni '50, perché in quel
periodo si puntava a focalizzare tutto sullo scopo della canzone, con un
ritornello e poi il coro. Tutto era molto essenziale e diretto.
Roger Taylor: Ho
sempre voluto che Rock You e Champions stessero assieme, sembravano funzionare bene
così. Di We Will Rock You non pensavamo fosse un singolo. La vedevamo quasi come
un'introduzione a We Are the Champions, una canzone più classica e molto
grande. Eravamo molto consapevoli di non voler essere etichettati come dinosaur
del rock o del prog rock, quindi volevamo cambiare assolutamente e abbiamo
cercato di continuare a cambiare sempre.
Quelle canzoni sono uscite proprio mentre il
punk stava cominciando a emergere in Inghilterra. Questo vi ha influenzati in qualche
modo?
Roger Taylor: La
cosa grande qui sono stati i Sex Pistols. Eravamo molto consapevoli. Eravamo
nello stesso studio dei Pistols mentre registravamo News Of The World e
capitava di incontrarci. Sono stato attratto dall'energia che sprigionavano e
ho capito l'idea e il pericolo e il testosterone che derivava dalla loro
musica.
È stata una vostra idea quella di far suonare
alle stazioni radiofoniche Rock You e Champions come una sola canzone o è una
cosa che hanno deciso loro?
Brian May: Sono
consecutive all’inizio dell'album e ho pensato che avrebbero funzionato così,
anche se ci sono state alcune discussioni su questa scelta: "Le stazioni
radio accetteranno di suonare una canzone in cui non c’è batteria?". Ma
avevo la sensazione che in radio avrebbero funzionato. E poi abbiamo messo
fuori il singolo Champions, con We Will Rock You" come lato b. La casa
discografica americana ha deciso di farne un doppio lato, e una stazione radio
a New York, la WNEW, ha fatto le proprie copie con entrambe le canzoni sullo
stesso lato in modo da poterlo suonare consecutivamente.
Roger Taylor: Mi
ricordo di averle ascoltate insieme e non c'è spazio nell'album tra le due
tracce, quindi nella sequenza di canzoni, ti aspetti di ascoltarle proprio
così.
Contrariamente a ciò che alcune persone
potrebbero pensare, We Are The Champions non parla tanto dei Queen quanto dei
vostri fans, giusto?
Roger Taylor: "Siamo
i Champions" è inteso come "noi", "tutti noi",
collettivamente, non noi come band. È un peccato che alcuni abbiano frainteso
il messaggio "Non c'è tempo per i perdenti" non è una cosa gentile da
sentirsi dire certo, ma è davvero qualcosa che parla di "tutti noi".
È una celebrazione.
C'è una lunga storia di appassionati di sport
britannici che cantano canzoni come queste, ma la cultura sportiva non è così
negli Stati Uniti, dove non c’è l’abitudine di riunirsi per cantare una
canzone. A meno che non sia "Take Me Out to the Ballgame" o una
canzone di lotta contro l'università . L'omofobia intrinseca della cultura
sportiva americana non ha però impedito a We Are The Champions di diventare
comunque un inno sportivo, nonostante fosse cantata da questo uomo bisessuale
incredibilmente eccentrico. Ho sempre pensato che l'ironia di questo fosse
piuttosto deliziosa.
Brian May: Credo
che sia una grande canzone con un coro assolutamente fantastico. È molto
trionfale. Si adatta all'occasione, qualunque sia l'occasione. Terminiamo
sempre il nostro spettacolo con Champions, perché è la migliore canzone che
conosciamo.
Ha sorpreso la band che
queste due canzoni un po' peculiari siano diventate degli inni sportivi?
Brian May: Onestamente, no. Non mi sorprende. Non
credo che Freddie o io le pensassimo in quei termini. Stavamo pensando al
nostro pubblico. È qui che le canzoni hanno assunto completamente una propria
vita. È logico. In uno stadio di calcio o di baseball avete due squadre opposte
che vogliono primeggiare e queste sono le canzoni perfette. In concerto quando
le suoniamo, siamo tutti nella stessa squadra. Si tratta di avere fiducia in te
stesso. Ricordo di essere rimasto sconvolto quando Freddie cantò per la prima
volta We Are The Champions e pensai: "Tutti penseranno che siamo noi i
campioni!". Forse c'è una certa arroganza in questo, ma è veramente il
credere in te stesso che ti farà arrivare in cima. Il più grande complimento
che il mondo ci abbia mai fatto è che queste canzoni sono diventate parte della
vita delle persone. Queste canzoni innescano sensazioni all'interno delle
persone. Che meraviglioso privilegio andare in giro per il mondo ora e sentire
l'energia che esce dalla folla.
Perché pensi che siano
ancora così popolari oggi?
Brian May: Ancora qualche volta mi emoziono per
questo. E' impossibile non farlo. Mi sento così privilegiato. È il massimo che
puoi ottenere. Le generazioni più giovani pensano che entrambe le canzoni siano
sempre state lì e che nessuno le ha scritte.
Sei stato in eventi sportivi
dove sono state suonate?
Brian May: Uno dei miei preferiti è stato quando
sono andato a vedere i Chicago Bulls contro i Lakers, con la sfida tra Michael
Jordan e Magic Johnson. Ogni volta che hanno fermato il gioco hanno suonato We
Will Rock You. Ho sorriso un sacco.