Una mano premuta sulla
bocca e gli occhi sprofondati in ciò che hai desiderato per tutta la
vita e che finalmente e' giunta a te attraverso anni di attesa e ora
avanza inesorabile al ritmo pulsante di One Vision. Inizia cosi' il
concerto dei Queen+Adam Lambert e sebbene non sia la mia prima volta,
il cuore accelera, poi perde mille battiti e infine riparte.
Dalla tribuna Gold posso
ammirare il pubblico e sentirne l'emozione che sale verso l'alto e si
spande all'interno del Forum come un fuoco che brucia come solo la
vita sa fare. Osservo i volti di chi per essere qui ha lasciato a
casa mogli, mariti e figli, di coloro che hanno cercato compromessi
sul posto di lavoro e su ognuna di quelle facce io mi specchio e vivo
le storie di ognuno. E poi ci sono tutte le persone che conosco,
perche' questa e' stata anche la giornata del ritrovarsi o
dell'abbracciarsi per la prima volta.
Cerco di ricomporre i
frammenti di questa storia ascoltando la Track13 di Made in Heaven,
la stessa che ci ha accompagnati verso l'inizio del concerto. Sono
state dette molte cose su questi venti minuti di sola musica, ognuno
ha la propria opinione. La mia e' che sia il racconto della vita di
Freddie e sentirla prima del concerto dei Queen e' un modo
meraviglioso di invocarne lo spirito. Ne abbiamo bisogno noi fans e,
ancora di più, chi presto salirà su quel palco che resta celato dal
simbolo della band. A differenza dei precedenti tour non c'e' solo la
fenice, quasi a voler simboleggiare una ritrovata unita' nonostante
tutto. Il passato che non grava piu' prepotente sul presente ma che
ne sposa gli intenti. E' questa la sensazione che la collaborazione
con Adam trasmette a tutti noi che qui, in questa arena, siamo un
corpo unico, un'onda pronta a farsi travolgere da una marea ancora
piu' impetuosa.
One Vision esplode all'improvviso attraverso la sagoma di Brian, chino sulla Red Special giusto il tempo di rivelare a tutti noi il palco incendiato di rosso. Nel mezzo c'e' Adam Lambert, il braccio teso in alto. Offre le spalle al pubblico e fissa Roger Taylor la cui batteria ci fa tremare, sussultare. Le urla esplodono e non e' piu' tempo di nascondere le labbra dietro le mani. Questo e' il momento dell'estasi, del rock che scorre come piombo fuso e brucia ogni cellula, invade ogni cavità , disintegra i pensieri e dona la certezza che la realta' puo' essere bella come un sogno. One Vision è la perfetta macchina del tempo che fa tornare in vita ancora una volta Wembley, quasi che la musica sia capace di bruciare gli anni e la distanza. Il sipario che si alza, le luci che esplodono hanno la forza di sollevare il pubblico, di scuoterlo, soggiogarlo. Non ci si crede alla bellezza di questa apertura. Nessuno è più nel parterre e anche le tribune sono vuote: siamo tutti su quel palco e ogni dubbio è stato dissolto. Visivamente lo spettacolo è grandioso fin da subito e anche vedere per la prima volta Adam Lambert sul palco non richiede rodaggio, accettazione. Lo capisci subito che quello è il suo posto, perché non c'è usurpazione nei suoi movimento, nessun sintomo di sostituzione nella sua figura vestita di pelle. E' come se si fosse ricavato una dimensione nuova, che non collide con l'assenza di Freddie ma, anzi, la colma con la diversità dello stile e l'onestà che trasuda dal suo stare sul palco.
One Vision esplode all'improvviso attraverso la sagoma di Brian, chino sulla Red Special giusto il tempo di rivelare a tutti noi il palco incendiato di rosso. Nel mezzo c'e' Adam Lambert, il braccio teso in alto. Offre le spalle al pubblico e fissa Roger Taylor la cui batteria ci fa tremare, sussultare. Le urla esplodono e non e' piu' tempo di nascondere le labbra dietro le mani. Questo e' il momento dell'estasi, del rock che scorre come piombo fuso e brucia ogni cellula, invade ogni cavità , disintegra i pensieri e dona la certezza che la realta' puo' essere bella come un sogno. One Vision è la perfetta macchina del tempo che fa tornare in vita ancora una volta Wembley, quasi che la musica sia capace di bruciare gli anni e la distanza. Il sipario che si alza, le luci che esplodono hanno la forza di sollevare il pubblico, di scuoterlo, soggiogarlo. Non ci si crede alla bellezza di questa apertura. Nessuno è più nel parterre e anche le tribune sono vuote: siamo tutti su quel palco e ogni dubbio è stato dissolto. Visivamente lo spettacolo è grandioso fin da subito e anche vedere per la prima volta Adam Lambert sul palco non richiede rodaggio, accettazione. Lo capisci subito che quello è il suo posto, perché non c'è usurpazione nei suoi movimento, nessun sintomo di sostituzione nella sua figura vestita di pelle. E' come se si fosse ricavato una dimensione nuova, che non collide con l'assenza di Freddie ma, anzi, la colma con la diversità dello stile e l'onestà che trasuda dal suo stare sul palco.
Quando One Vision lascia
posto a Stone Cold Crazy, il colore dominante è il viola e
anche stavolta la macchina del tempo fa il suo infaticabile lavorio e
Rainbow squarcia il velo del passato e diventa un presente potente,
disarmante. L'incredulità è dipinta sui nostri volti, perché
troppe cattiverie sono state dette su Brian e Roger. E invece eccoli,
taglienti come rasoi esattamente come accadeva negli anni Settanta.
La batteria colpisce, guida i battiti cardiaci accelerati, ferisce
dentro per liberare energie nuove. La gioia pervade il pubblico,
soprattutto quando può essere davvero parte dello spettacolo urlando
a perdifiato i cori di Fat Bottomed Girls.
Osservo chi sta di fronte al palco, tutti coloro che hanno affrontato
la fatica dell'attesa, la stanchezza e il freddo. Sono una marea, uno
tsunami che la chitarra di Brian domina e omaggia, quasi che tra lo
strumento e i fans ci sia un reciproco scambio di energie. I Queen
suonano, Adam invita a cantare e tutti noi siamo i perfetti recettori
del messaggio, singole cellule di un organismo, il pubblico di questa
meravigliosa band.
Il
tempo resta incardinato ai primi anni Settanta grazie a In
The Lap Of The Gods,
Seven Seas Of Rhye e
Killer Queen. Lo confesso, per
quest'ultima sono rimasto col fiato sospeso. Ho sentito sulle spalle
il peso delle polemiche, delle accuse, di ogni singola cattiveria e
anche i dubbi che nutrivo io stesso su una performance così teatrale
e sopra le righe. Tutto questo mi ha spinto a seguire il brano con
trepidazione. Eppure sono bastati pochi secondi per capire che anche
quel momento così tanto di Adam Lambert non è sbagliato, fa parte
del gioco, del divertimento. Accanto a me c'è chi ride e tra il
pubblico del parterre nessuno osa davvero inveire contro questo
magnifico frontman. Si, è questa la definizione più corretta per
Adam. Stare lì su quel divano, proprio al centro della folla, senza
alcuna difesa è una pantomima teatrale senza paracadute, quasi che
Adam abbia voluto dire a un pubblico non completamente suo: io sono
qui, questo è il mio stile e lo offro a voi senza possibilità di
fuga.
E' ammirazione la mia, che deriva anche dalle qualità vocali di un cantante che ha stretto i denti per essere su quel palco e che non cede di un passo, nemmeno di fronte al timore di sbagliare una nota. E Adam non sbaglia. E' sontuoso, ammiccante, divertente e profondamente rispettoso di noi e della storia dei Queen. Lo capisci guardandolo sul palco. Lo accetti nel momento in cui inizia a cantare le prossime due canzoni, I Want To Break Free e Somebody To Love. I Queen hanno raccontato l'amore gioioso, quello che fa rima con la libertà , ma anche l'amore disperato, che non arriva mai, ma che quando ti prende ti trascina e ti porta via. Per interpretare nel modo giusto certi brani bisogna averlo vissuto l'amore, bisogna aver sofferto per esso ed è necessario avervi trovato anche la pace.
Ho la netta sensazione, ascoltando Adam, che sulle sue spalle gravi il peso di tutto questo e il suo stare sul palco, il suo ammiccare e giocare col pubblico è il riflesso del bisogno di comunicare, raccontare ciò che i testi delle canzoni gli trasmettono. Nel considerare Adam nel suo ruolo non bisogna mai dimenticare che queste non sono le sue canzoni ed è quindi indispensabile da parte sua uno sforzo interpretativo in più, per non tradire il significato originario dei pezzi ma anche per inventarne di nuovi attraverso la mediazione della sua sensibilità . Il risultato è magnifico, convincente e coinvolgente, tanto da spingere tutto il pubblico presente a segurlo, a fidarsi dei suoi vocalizzi che si fanno via via sempre più intensi, efficaci, liberi dal timore di non riuscire a conquistare la platea.
E' ammirazione la mia, che deriva anche dalle qualità vocali di un cantante che ha stretto i denti per essere su quel palco e che non cede di un passo, nemmeno di fronte al timore di sbagliare una nota. E Adam non sbaglia. E' sontuoso, ammiccante, divertente e profondamente rispettoso di noi e della storia dei Queen. Lo capisci guardandolo sul palco. Lo accetti nel momento in cui inizia a cantare le prossime due canzoni, I Want To Break Free e Somebody To Love. I Queen hanno raccontato l'amore gioioso, quello che fa rima con la libertà , ma anche l'amore disperato, che non arriva mai, ma che quando ti prende ti trascina e ti porta via. Per interpretare nel modo giusto certi brani bisogna averlo vissuto l'amore, bisogna aver sofferto per esso ed è necessario avervi trovato anche la pace.
Ho la netta sensazione, ascoltando Adam, che sulle sue spalle gravi il peso di tutto questo e il suo stare sul palco, il suo ammiccare e giocare col pubblico è il riflesso del bisogno di comunicare, raccontare ciò che i testi delle canzoni gli trasmettono. Nel considerare Adam nel suo ruolo non bisogna mai dimenticare che queste non sono le sue canzoni ed è quindi indispensabile da parte sua uno sforzo interpretativo in più, per non tradire il significato originario dei pezzi ma anche per inventarne di nuovi attraverso la mediazione della sua sensibilità . Il risultato è magnifico, convincente e coinvolgente, tanto da spingere tutto il pubblico presente a segurlo, a fidarsi dei suoi vocalizzi che si fanno via via sempre più intensi, efficaci, liberi dal timore di non riuscire a conquistare la platea.
Vi è
mai capitato di attendere in stazione l'arrivo di una persona
importante e di camminare su e giù lungo il binario in attesa? E poi
quando finalmente giunge chi aspettavate non puoi fare altro che
corrergli incontro? E' questa la sensazione che trasmette Brian May
quando guadagna la pedana centrale del palco, sommerso dagli
applausi, la mano sul cuore a simboleggiare che tutti noi siamo lì
dentro. E' il momento di Love Of My Life e '39,
anticipate però dal selfie-stick di Brian che riprende il pubblico,
lo rende protagonista assoluto, come se volesse portare via con sé
un ricordo di ciò che ha vissuto ancora una volta, inaspettatamente.
Si vede che Brian ama farsi sorprendere dalla vita, non c'è
costruzione in lui nonostante la sapienza dell'artista che sa ciò
che il pubblico vuole.
Ma è anzitutto una persona vera, autentica e vederlo su quel palco da solo, anzi no, dolorosamente da solo è una ferita e allo stesso tempo una gioia. Proprio come Love Of My Life che mi fa piangere, mi piega in due, mi riduce in mille frammenti mentre le braccia di chi mi sta accanto si tendono verso la figura di Freddie, che non è morto ma è qui con noi, è parte della spettacolo e quella che si vede sullo schermo non è la sua immagine ma la sua presenza, che si avvicina a noi, ci fa cantare e urlare. Freddie, il mio Freddie è nel testo di questa meravigliosa canzone e quando sembra che volti le spalle a noi e a Brian non è un addio. Ancora una volta non c'è commiato mentre lascia il palco. E' solo un arrivederci al prossimo momento, mentre sul palco si concretizza la corale '39, durante la quale Brian viene raggiunto da Roger, Rufus, Spike e Neil.
Dietro le quinte resta solo Adam, pronto a ritornare protagonista della scena, ma tra ancora un po'. Ed è qui che il destino ha disegnato un altro passaggio fondamentale, un ulteriore sintomo che dimostra quanto le cose non accadano per una banale concatenazione di eventi casuali. Gli ingranaggi di ciò che deve essere si mettono in moto e puoi sentirli bisbigliare proprio mentre inaspettatamente inizia These Are The Days Of Our Live. Nessuno di noi se l'aspettava perché durante gli ultimi concerti era sempre stata lasciata da parte. Sentirla è struggente e Roger la interpreta in modo magnifico, mentre le immagini sullo schermo rievocano la storia dei Queen accompagnata dalle nostre urla quando ci mostrano prima Freddie e poi John. E la magia continua con A Kind Of Magic che vede ancora protagonista Roger con una performance vocale stupenda e un assolo di Brian prolungato, felice, quasi che abbia difficoltà a staccarsi dalle armonie del pezzo al quale resta avvinto nella ricerca di nuove sfumature sul tema dominante della canzone.
Ma è anzitutto una persona vera, autentica e vederlo su quel palco da solo, anzi no, dolorosamente da solo è una ferita e allo stesso tempo una gioia. Proprio come Love Of My Life che mi fa piangere, mi piega in due, mi riduce in mille frammenti mentre le braccia di chi mi sta accanto si tendono verso la figura di Freddie, che non è morto ma è qui con noi, è parte della spettacolo e quella che si vede sullo schermo non è la sua immagine ma la sua presenza, che si avvicina a noi, ci fa cantare e urlare. Freddie, il mio Freddie è nel testo di questa meravigliosa canzone e quando sembra che volti le spalle a noi e a Brian non è un addio. Ancora una volta non c'è commiato mentre lascia il palco. E' solo un arrivederci al prossimo momento, mentre sul palco si concretizza la corale '39, durante la quale Brian viene raggiunto da Roger, Rufus, Spike e Neil.
Dietro le quinte resta solo Adam, pronto a ritornare protagonista della scena, ma tra ancora un po'. Ed è qui che il destino ha disegnato un altro passaggio fondamentale, un ulteriore sintomo che dimostra quanto le cose non accadano per una banale concatenazione di eventi casuali. Gli ingranaggi di ciò che deve essere si mettono in moto e puoi sentirli bisbigliare proprio mentre inaspettatamente inizia These Are The Days Of Our Live. Nessuno di noi se l'aspettava perché durante gli ultimi concerti era sempre stata lasciata da parte. Sentirla è struggente e Roger la interpreta in modo magnifico, mentre le immagini sullo schermo rievocano la storia dei Queen accompagnata dalle nostre urla quando ci mostrano prima Freddie e poi John. E la magia continua con A Kind Of Magic che vede ancora protagonista Roger con una performance vocale stupenda e un assolo di Brian prolungato, felice, quasi che abbia difficoltà a staccarsi dalle armonie del pezzo al quale resta avvinto nella ricerca di nuove sfumature sul tema dominante della canzone.
Un
altro momento fondamentale che cattura gli occhi e rapisce il cuore
del vero fan è quello dedicato a Roger che duetta alla batteria con
Rufus, con un continuo scambio di assoli ciascuno alla propria
batteria, letteralmente da padre a figlio, ma non per un ideale
passaggio di consegne. In quel momento Roger e Rufus sono due
musicisti che raccontano attraverso i propri strumenti la gioia di
essere lì su quel palco, la tensione aggiuntiva che deriva
dall'essere uno il padre dell'altro. Quanta vita scorre tra loro due,
quanta esperienza c'è da una parte e quanta giovane esuberanza
dall'altra. E' una meravigliosa Drum Battle quella a cui
assistiamo, con Roger che non smentisce la sua raffinatezza mista ad
una potenza d'esecuzione senza pari.
Una menzione particolare voglio riservarla a Neil Fairclough: il suo ruolo non è affatto semplice come possa sembrare, sebbene se ne stia tutto il tempo molto defilato sul palco, perché ovviamente la scena è tutta dei Queen e Adam. Eppure anche lui è presente stasera per rendere omaggio a qualcuno che non c'è, stavolta per scelta. John Deacon è il bassista dei Queen, lo dico al presente perché detesto riferirmi a lui al passato e non averlo di fronte è qualcosa che non può passare inosservato. Il suo stile, la sua sapienza di musicista e il suo carattere talmente complesso che ancora oggi resta inesplicabile, erano elementi essenziali per la musica dei Queen, soprattutto dal vivo dove con Roger costituiva quell'architrave sul quale Brian e Freddie potevano costruire le loro meraviglie sonore, canzone dopo canzone. Per questo il ruolo di Neil non è semplice ma, anzi, gravoso come solo può esserlo il doversi calare nei panni stretti di un musicista che per noi fans non è raggiungibile. Ma Neil ha dalla sua due fattori fondamentali: la perizia tecnica e l'umiltà , condite da un sorriso spesso raggiante che gli trasmette l'essere parte di questo enorme show. E lui ci ringrazia regalandoci un assolo al basso che ricorda certe pagine di enciclopedia musicale, nelle quali trovano spazio accenni di canzoni come Nevermore, Body Language e una sorprendente The Invisible Man suonata assieme a Roger. Sono piccole perle musicali che si condensano proprio davanti ai nostri occhi e ci fanno sorridere, perché anche certi brevi accenni hanno il potere di entusiasmare chi li ascolta.
Una menzione particolare voglio riservarla a Neil Fairclough: il suo ruolo non è affatto semplice come possa sembrare, sebbene se ne stia tutto il tempo molto defilato sul palco, perché ovviamente la scena è tutta dei Queen e Adam. Eppure anche lui è presente stasera per rendere omaggio a qualcuno che non c'è, stavolta per scelta. John Deacon è il bassista dei Queen, lo dico al presente perché detesto riferirmi a lui al passato e non averlo di fronte è qualcosa che non può passare inosservato. Il suo stile, la sua sapienza di musicista e il suo carattere talmente complesso che ancora oggi resta inesplicabile, erano elementi essenziali per la musica dei Queen, soprattutto dal vivo dove con Roger costituiva quell'architrave sul quale Brian e Freddie potevano costruire le loro meraviglie sonore, canzone dopo canzone. Per questo il ruolo di Neil non è semplice ma, anzi, gravoso come solo può esserlo il doversi calare nei panni stretti di un musicista che per noi fans non è raggiungibile. Ma Neil ha dalla sua due fattori fondamentali: la perizia tecnica e l'umiltà , condite da un sorriso spesso raggiante che gli trasmette l'essere parte di questo enorme show. E lui ci ringrazia regalandoci un assolo al basso che ricorda certe pagine di enciclopedia musicale, nelle quali trovano spazio accenni di canzoni come Nevermore, Body Language e una sorprendente The Invisible Man suonata assieme a Roger. Sono piccole perle musicali che si condensano proprio davanti ai nostri occhi e ci fanno sorridere, perché anche certi brevi accenni hanno il potere di entusiasmare chi li ascolta.
Under Pressure
non è una canzone come le altre, gode di una vita senza tempo e
risulta attuale in ogni decade musicale. Il fatto che siano tornati a
riproporla anche in questo tour è l'ennesima delizia per il fan che
ha comunque voglia di esaltarsi con i classici dei Queen. La versione
proposta sul palco di Milano mette assieme Roger e Adam e ancora una
volta il risultato è un duetto che convince ed entusiasma. Non è
solo la bellezza della canzone a dominare, ma è la qualitÃ
dell'esecuzione che ci spinge a cantare con loro e a seguire con lo
sguardo Roger Taylor mentre suona la batteria proprio al centro del
parterre. Invidio gli amici che gli stanno attorno e tendono le mani
verso di lui. Anche dalla tribuna il colpo d'occhio è magnifico e il
pubblico che circonda la band in questo momento è una parte
essenziale dello spettacolo. In fondo ho scelto la Gold proprio per
questo, per vivere lo show nella sua totalità , perché il rapporto
tra i Queen e il pubblico è un meccanismo straordinario che merita
di essere ammirato. Si resta ancorati agli anni '80 anche con i due
brani successivi, scelti per mettere in mostra le qualità vocali e
interpretative di Adam.
Quando inizia a cantare Save Me lo fa da solo, il palco improvvisamente calato nell'oscurità dell'arena e un faro ad illuminare Adam che nel frattempo ha raggiunto una delle due pedane laterali. A guardarlo così sembra stia passeggiando su un ponte: l'aria è mite stanotte e il cielo siamo noi che illuminiamo la scena con i flash dei telefoni e delle macchine fotografiche. La sua voce si spande nell'aria, letteralmente disegna spirali che giungono in ogni angolo e raccontano la meravigliosa storia d'amore scritta da Brian. Chiedere alla persona che ami di essere salvato è un atto di coraggio che solo il cuore è in grado di mettere in campo. Interpretare un testo così intimo e profondo non è facile ma Adam ci riesce con uno stile dolce e delicato, che lentamente si fa accompagnare da Brian e Roger che subentrano dopo le prime strofe. Save Me è una delle canzoni più belle e poetiche dei Queen e solo chi ha ascoltato l'interpretazione di Freddie sa quanto possa essere complicato renderle giustizia. Il fatto che Adam ne sia capace è un'ulteriore motivo di sorpresa e gioia per tutti i presenti.
E le stesse sensazioni si replicano per Who Wants To Live Forever, divenuta nel corso di questo tour una sorta di cavallo di battaglia di Adam, capace anche in questo caso di fare propria l'intensità originaria del brano, pur mantenendo fede al proprio stile. Sono questi i passaggi fondamentali per comprendere davvero il valore di questa collaborazione. Il fatto che Adam resti sincero e proponga il suo modo di cantare e stare sul palco ha il potere di convincere tutti noi che quello è il posto giusto per lui. Chi ama Freddie non accetta le imitazioni e non tollera chi prova a cimentarsi nel suo ruolo, a indossarne i panni. E' una lezione meno scontata di quanto non si creda e perderla di vista è facile. In questo senso nessuno potrà mai smentire il fatto che Adam è un'artista nel senso più autentico del termine. Può non piacere il suo stile, ma ha qualità enormi e le offre al pubblico senza remore e, cosa più importante, senza risultare arrogante.
Quando inizia a cantare Save Me lo fa da solo, il palco improvvisamente calato nell'oscurità dell'arena e un faro ad illuminare Adam che nel frattempo ha raggiunto una delle due pedane laterali. A guardarlo così sembra stia passeggiando su un ponte: l'aria è mite stanotte e il cielo siamo noi che illuminiamo la scena con i flash dei telefoni e delle macchine fotografiche. La sua voce si spande nell'aria, letteralmente disegna spirali che giungono in ogni angolo e raccontano la meravigliosa storia d'amore scritta da Brian. Chiedere alla persona che ami di essere salvato è un atto di coraggio che solo il cuore è in grado di mettere in campo. Interpretare un testo così intimo e profondo non è facile ma Adam ci riesce con uno stile dolce e delicato, che lentamente si fa accompagnare da Brian e Roger che subentrano dopo le prime strofe. Save Me è una delle canzoni più belle e poetiche dei Queen e solo chi ha ascoltato l'interpretazione di Freddie sa quanto possa essere complicato renderle giustizia. Il fatto che Adam ne sia capace è un'ulteriore motivo di sorpresa e gioia per tutti i presenti.
E le stesse sensazioni si replicano per Who Wants To Live Forever, divenuta nel corso di questo tour una sorta di cavallo di battaglia di Adam, capace anche in questo caso di fare propria l'intensità originaria del brano, pur mantenendo fede al proprio stile. Sono questi i passaggi fondamentali per comprendere davvero il valore di questa collaborazione. Il fatto che Adam resti sincero e proponga il suo modo di cantare e stare sul palco ha il potere di convincere tutti noi che quello è il posto giusto per lui. Chi ama Freddie non accetta le imitazioni e non tollera chi prova a cimentarsi nel suo ruolo, a indossarne i panni. E' una lezione meno scontata di quanto non si creda e perderla di vista è facile. In questo senso nessuno potrà mai smentire il fatto che Adam è un'artista nel senso più autentico del termine. Può non piacere il suo stile, ma ha qualità enormi e le offre al pubblico senza remore e, cosa più importante, senza risultare arrogante.
Il
Guitar Solo è un
altro momento classico dello show, nel quale i riflettori e gli
sguardi sono tutti per Brian May che domina il palco con la sua Red
Special. La scelta per questo tour è di mettere assieme i passaggi
tipici di Brighton Rock con Last Horizon. Tanti anni fa scelsi questo
nickname per puro istinto, una piccola intuizione dettata dalla
necessità di iscrivermi a un sito. In quel momento non avrei mai
pensato che mi avrebbe accompagnato fin qui, rendendomi riconoscibile
a tanti di voi. Qualcuno mi ha chiesto: perché proprio questa
canzone? La risposta è nell'esecuzione di Brian, immerso tra le
stelle, circondando da un orizzonte infinito. Mentre lui suona, lo
spazio attorno a noi si dilata, assume la forma della sua sagoma che
si muove sul palco, con quella sua tipica andatura china sulla
chitarra, quasi a voler escludere tutto il resto. C'è saggezza nel
suo assolo, sapienza e forza, che fanno sprigionare dalle corde
pizzicate dalle sue dita suoni meravigliosi, ora crudi e graffianti,
ora malinconici.
Last Horizon è la melodia perfetta, che non ha bisogno di un testo, perché ognuno di noi può scegliere le parole più adatte per raccontare l'emozione che trasmette. A differenza del 2008 è una versione solitaria, che rende Brian protagonista assoluto di quindici meravigliosi minuti che catturano tutto il pubblico. La Red Special parla, racconta le sue storie, fa fluire vibrazioni che presagiscono i due pezzi successivi, Tie Your Mother Down e I Want It All. Entrambi i brani riportano in scena la band al completo e ci restituiscono i Queen nella loro versione più dura e tesa e la musica diventa una corsa irrefrenabile di mani alzate al cielo e piedi che non possono stare fermi. Il pubblico del parterre salta, canta, ricorda ancora una volta una marea, mentre noi che siamo sugli spalti impersoniamo la roccia che rotola a valle, che scuote il forum.
Radio Ga Ga invece è il ritorno all'ennesimo inno grazie al quale tutti noi siamo protagonisti. Sullo schermo scorrono le immagini tratte da Metropolis e la sensazione di essere improvvisamente finiti nel video del 1984 è fortissima, gioiosa come già successe anni fa a Roma. Il confronto con il concerto con Paul Rodgers non manca, ma non è qui che voglio parlarne, perché ogni fase della storia dei Queen merita un capitolo a parte, senza l'obbligo del paragone ad ogni costo.
Last Horizon è la melodia perfetta, che non ha bisogno di un testo, perché ognuno di noi può scegliere le parole più adatte per raccontare l'emozione che trasmette. A differenza del 2008 è una versione solitaria, che rende Brian protagonista assoluto di quindici meravigliosi minuti che catturano tutto il pubblico. La Red Special parla, racconta le sue storie, fa fluire vibrazioni che presagiscono i due pezzi successivi, Tie Your Mother Down e I Want It All. Entrambi i brani riportano in scena la band al completo e ci restituiscono i Queen nella loro versione più dura e tesa e la musica diventa una corsa irrefrenabile di mani alzate al cielo e piedi che non possono stare fermi. Il pubblico del parterre salta, canta, ricorda ancora una volta una marea, mentre noi che siamo sugli spalti impersoniamo la roccia che rotola a valle, che scuote il forum.
Radio Ga Ga invece è il ritorno all'ennesimo inno grazie al quale tutti noi siamo protagonisti. Sullo schermo scorrono le immagini tratte da Metropolis e la sensazione di essere improvvisamente finiti nel video del 1984 è fortissima, gioiosa come già successe anni fa a Roma. Il confronto con il concerto con Paul Rodgers non manca, ma non è qui che voglio parlarne, perché ogni fase della storia dei Queen merita un capitolo a parte, senza l'obbligo del paragone ad ogni costo.
Crazy Little Thing
Called Love introduce la fase
conclusiva del concerto e ancora una volta Adam dimostra di aver
compreso il senso del pezzo, manifestando allegria e ironia durante
l'esecuzione e accompagnando il pubblico nei cori, perché alla fine
è un grande evento corale quello a cui stiamo partecipando. Quando
inizia Bohemian Rhapsody
l'emozione torna prepotente a pervadere i cuori. Sappiamo tutti cosa
sta per succedere, lo spirito immortale di Freddie torna ad essere la
parte dominante dello show. Quando il suo volto appare sullo schermo
le braccia si protendono ancora una volta verso di lui, lo vogliono
toccare, accarezzare, stringerlo in un abbraccio che è anzitutto un
atto d'amore e di riconoscenza per esserci sempre, ancora una volta
qui con noi.
Prima che We Will Rock You ci conquisti per l'ennesima volta, c'è il tempo per la band di radunarsi sul palco e salutare brevemente il pubblico in festa. Naturalmente non è la fine dello show, ma il palco resta vuoto per alcuni minuti, mentre sullo schermo il simbolo dei Queen si trasforma fino a lasciare spazio alla grande Q nella quale è incastonata la corona, un vessillo di regalità , di autentico trionfo. Quando Roger Taylor torna al suo posto dietro la batteria, il forum è scosso dalle nostre mani e dai piedi che battono a terra. E' il presagio di quanto sta per succedere. Roger esegue la prima battuta di We Will Rock You, si ferma e poi riparte. Si ferma ancora e infine da sfogo al ritmo ipnotico del brano che ci avvolge, ci scuote nel profondo e ci rende la parte più bella dello spettacolo. Cantare questo brano è un atto liberatorio come solo gli inni sanno esserlo. Adam ci guida, ci invita a gridare sempre più forte e anche i più scettici comprendono che quella corona non la indossa con arroganza ma, ancora una volta, con l'umilità di chi sta rendendo omaggio ai Queen.
We Are The Champions è la logica conclusione di uno spettacolo che ci resterà addosso per sempre. Adam canta solo le prime strofe, poi lascia che sia il pubblico a salire idealmente sul palco e noi cantiamo con foga, col sorriso sulle labbra, grati a questi magnifici musicisti di averci concesso ancora una volta di far parte della storia dei Queen. Durante l'inno finale, mentre Brian, Roger, Adam, Rufus, Neil e Spike ci salutano, gli occhi sono lucidi, le mani mani battono sui cuori, perché è da lì che sono sgorgate le emozioni di questa serata ed è quello il posto in cui tutto resterà custodito.
Prima che We Will Rock You ci conquisti per l'ennesima volta, c'è il tempo per la band di radunarsi sul palco e salutare brevemente il pubblico in festa. Naturalmente non è la fine dello show, ma il palco resta vuoto per alcuni minuti, mentre sullo schermo il simbolo dei Queen si trasforma fino a lasciare spazio alla grande Q nella quale è incastonata la corona, un vessillo di regalità , di autentico trionfo. Quando Roger Taylor torna al suo posto dietro la batteria, il forum è scosso dalle nostre mani e dai piedi che battono a terra. E' il presagio di quanto sta per succedere. Roger esegue la prima battuta di We Will Rock You, si ferma e poi riparte. Si ferma ancora e infine da sfogo al ritmo ipnotico del brano che ci avvolge, ci scuote nel profondo e ci rende la parte più bella dello spettacolo. Cantare questo brano è un atto liberatorio come solo gli inni sanno esserlo. Adam ci guida, ci invita a gridare sempre più forte e anche i più scettici comprendono che quella corona non la indossa con arroganza ma, ancora una volta, con l'umilità di chi sta rendendo omaggio ai Queen.
We Are The Champions è la logica conclusione di uno spettacolo che ci resterà addosso per sempre. Adam canta solo le prime strofe, poi lascia che sia il pubblico a salire idealmente sul palco e noi cantiamo con foga, col sorriso sulle labbra, grati a questi magnifici musicisti di averci concesso ancora una volta di far parte della storia dei Queen. Durante l'inno finale, mentre Brian, Roger, Adam, Rufus, Neil e Spike ci salutano, gli occhi sono lucidi, le mani mani battono sui cuori, perché è da lì che sono sgorgate le emozioni di questa serata ed è quello il posto in cui tutto resterà custodito.
Cosa
resta alla fine? Di certo non la sensazione che sia finita qui. A
differenza del passato, stavolta non è la nostalgia a predominare,
ma un senso di appagamento che tuttavia fa presagire nuove
opportunità , orizzonti a disposizione, in fondo ai quali si agitano
energie finalmente rinnovate. Ma resta anche la consapevolezza che
Adam è la scelta giusta. Le sue qualità vocali non le discute più
nessuno, tranne quei pochi irriducibili arroccati su posizioni
velleitarie per il puro gusto di darsi un tono. Ma tutto questo non
ci riguarda più, mentre ci appartiene questo artista, cresciuto e
maturato durante questo tour in modo forse inaspettato.
E resta la convinzione che Adam non sia su quel palco per sostituire ma per offrire un'opportunità altrimenti impossibile da perseguire, tanto per i Queen quanto per noi. E poi ci rimane addosso la gioia di sapere che Brian e Roger sono ancora capaci di suonare in modo straordinario nonostante il peso degli anni. Nei loro volti abbiamo letto per tutta la durata del concerto la felicità di essere qui, adesso assieme a noi. È stata una notte di musica, di fottuto rock'n'roll, di canzoni “usa e getta”, di riff taglienti come rasoi, di brani che ti incidono la carne come tatuaggi indelebili. È stata la notte dei Queen e di Adam Lambert ed è stata soprattutto la nostra notte. Nessuno potrà togliercela, non ci saranno polemiche in grado di annullare l'emozione e la certezza che i Queen esistono ancora, in una forma nuova, completamente diversa dal passato eppure intimamente connessa con ciò che è stato. Su quel palco abbiamo visto scorrere la linfa vitale che solo il rock sa trasmettere. Oggi finalmente possiamo dirlo: questi sono i giorni della nostra vita. E noi siamo parte della storia dei Queen.
E resta la convinzione che Adam non sia su quel palco per sostituire ma per offrire un'opportunità altrimenti impossibile da perseguire, tanto per i Queen quanto per noi. E poi ci rimane addosso la gioia di sapere che Brian e Roger sono ancora capaci di suonare in modo straordinario nonostante il peso degli anni. Nei loro volti abbiamo letto per tutta la durata del concerto la felicità di essere qui, adesso assieme a noi. È stata una notte di musica, di fottuto rock'n'roll, di canzoni “usa e getta”, di riff taglienti come rasoi, di brani che ti incidono la carne come tatuaggi indelebili. È stata la notte dei Queen e di Adam Lambert ed è stata soprattutto la nostra notte. Nessuno potrà togliercela, non ci saranno polemiche in grado di annullare l'emozione e la certezza che i Queen esistono ancora, in una forma nuova, completamente diversa dal passato eppure intimamente connessa con ciò che è stato. Su quel palco abbiamo visto scorrere la linfa vitale che solo il rock sa trasmettere. Oggi finalmente possiamo dirlo: questi sono i giorni della nostra vita. E noi siamo parte della storia dei Queen.