Introduzione di @Last_Horizon
In rete si fa chiamare Killer Queen, ma
Paola Mazzotta non ha davvero nulla di micidiale se non il carisma e
una dosa di energia davvero sorprendente. Mi è capitato di
conoscerla per caso, ma per uno che non crede alle coincidenze c'è
sempre un significato da ricercare dietro ogni incontro. Oggi posso
dire di averlo trovato quando, all'indomani del suo viaggio a
Montreux, Paola mi ha travolto col suo entusiasmo e con l'emozione
che ha riportato a casa dopo essere stata in quei luoghi così
straordinari. Ci deve essere un'energia tutta particolare a Montreux
che fa aumentare il peso specifico della propria anima, quasi che un
pezzetto di Freddie e della storia dei Queen si attaccasse alle
pareti del cuore. Per questo sono certo che il racconto che segue
riuscirà a colpire tutti, ravvivando le emozioni di chi a Montreux
c'è già stato e contagiando coloro che devono ancora andarci e che,
dopo questa lettura, non potranno fare a meno di partire. Con Queen
Forever amo sperimentare ed è la prima volta che ospito sul blog una
firma diversa dalla mia. A Paola Mazzotta va quindi il mio sincero
grazie per aver voluto condividere un viaggio che, presto o tardi,
tutti i fans devono fare, perché sulle sponde di quel lago c'è un
po' di Freddie Mercury e Paola ne è una testimone perfetta.
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“Arrivo per la seconda volta nella
mia vita a Montreux, stavolta in condizioni alterate dal lungo
viaggio, essendo io partita da Lecce, ma anche dall'impossibilità di
smaltire i postumi della sera precedente. No, niente di ambiguo miei
cari, ma il viaggio in Svizzera ha compreso una tappa a Torino per
assistere al concerto swing di Robbie Williams. Risultato: lotta
disperata per essere ad ogni costo davanti alle transenne fin dalle 8
del mattino e conseguente stravolgimento psicofisico. Perciò, eccovi
servito un consiglio: quando vi recherete a Montreux, badate di
essere almeno riposati fisicamente e, se possibile, evitate i weekend
festivi. La prima volta ci sono andata di mercoledì, era il novembre
del 2012 e non solo faceva meno freddo di questo strano, anzi pazzo
maggio, ma c’era molta meno gente e, in questi casi, si sa la
confusione non fa bene al viaggiatore. Oggi invece, sabato 3 maggio
2014, frotte di turisti molto, anzi moooolto ricchi (sono qui da
appena 10 minuti e già mi sono sfilate davanti due Ferrari. Giuro,
non è colpa della stanchezza, erano tutte vere) gironzolano accanto
alla statua, quella statua cosi’ meravigliosamente insolente. Se si
arriva dalla piazza, offre le spalle a chi arriva qui per ammirarla e
sembra fatto di proposito, quasi a voler sottolineare l'atteggiamento
tipico del nostro Freddie. A quel punto, puoi anche avere nelle gambe
dieci ore di viaggio, ma l'adrenalina ci mette del suo e ti fa fare
uno scatto da centometrista, perché Freddie lo DEVI guardare in viso
e non c'è tempo da perdere. Nel frattempo i turisti si susseguono,
alcuni sono stupiti di vederlo li e sottolineano la propria sorpresa
domandandosi il perché di quella presenza, mentre i grandi del jazz
che hanno fatto la storia di Montreux hanno i loro mezzibusti in un
parco vicino al forum dove si svolge l'annuale festival Ma a Freddie
l'affronto non sembra intimorire e così la statua regna sovrana di
fronte al lago, quasi che fosse sul palco di Wembley e al posto delle
onde vi fossero file interminabili di fans in tripudio. Noto che
alcuni turisti si lasciano trascinare dalla posa iconica (e io, lo
confesso, sono sempre molto gelosa quando percepisco che non è un
fan che lo sta toccando), altri ancora spiegano ai bimbetti che
recano con se, chi sia questa meraviglia di quasi 2 metri che, pugno
al cielo, sembra non guardare nessuno di noi, tutto concentrato sulla
sua musica. E io? Sempre lì, in attesa che evaporino tutti perché
dobbiamo stare un po’ soli signori miei, perché io e
Freddieabbiamo un sacco di cose da dirci, vero? e anche in questo
caso gli effetti del viaggio non c'entrano nulla, ve lo assicuro.
Una volta arrivato il mio turno finalmente posso salutarlo,
fregandomene di cosa penseranno gli altri. Io devo dirgli a voce
'Ciao Freddie, sono tornata' e lo devo abbracciare. L’urgenza di
stringermi a lui è troppo forte e quando lo faccio sento che sto
stringendo a me davvero una persona cara che non si vede da tanto
tempo. Provateci, è bellissimo e sono certa che dai vostri volti
svaniranno quelle espressioni un po' perplesse. Non sono follie da
fan, ma emozioni allo stato puro che vanno vissute per essere
comprese fino in fondo. A fatica mi stacco e faccio un giro per il
lungolago, comprando qualche cartolina durante la passeggiata. Il
gestore di una di queste, un extracomunitario gentilissimo sulla
sessantina e dotato di un meraviglioso sorriso, si bea del mio
accento italiano, conosce anche la Puglia, e mi racconta di quando
incontrava Freddie che passava da li. Vero o no, credo sia la prima
persona che mi capita davanti che abbia visto Freddie. Non è cosa da
poco, non vi pare?
Poi arriva il momento di dirigermi
verso i Mountain Studios dove ormai è collocata la mostra permanente
sui Queen. Mi incammino per andare al Casinò, scommettendo con me
stessa di quanto resisterò senza sciogliermi in lacrime (come se non
fosse già successo davanti la statua… ma quello ormai è un mio
classico, non fateci caso). Entrando, la prima sensazione guardando
giù dal balcone verso i tavoli è che da un momento all’altro
spunti da lì sotto Ratty, indaffarato tra gli strumenti della band,
magari mentre alle sue spalle il mio biondo adorato Roger Taylor si
prepara a picchiare sui tamburi. Del resto quella che ho di fronte è
la sala che tutti possono ammirare nella copertina interna di Jazz.
Supero semi-indenne (ovvero senza frignare) i leoni e il flipper e
già mi si parano davanti fotografie in formato gigante che iniziano
a farmi battere il cuore. Coraggio, un altro passo e sono dentro.
Seguo il corridoio e fin qui tutto bene. Poi entro e.... BOOM!!!!
Quello che voglio vedere, per cui ho scelto di viaggiare da sola,
incosciente più che mai, è qui. Gli archivi di Brian May si aprono
ai miei occhi e io non posso che pensare 'Grazie Doc, che dono
meraviglioso'. Scatto foto a ripetizione e il click della mia
macchina fotografia mi trasmette la certezza di aver immortalato ogni
cosa. Non deve sfuggirmi nulla, ma cerco, almeno per ora, di non
guardare gli abiti di scena alle mie spalle, perché so che lì il
cuore non potrò più frenarlo. Ci sono cose che lo devastano,
letteralmente. Eppure scopro ben presto di essere in errore. La
'devastazione' (o colpo al cuore, se preferite) arriva già nel
momento in cui si entra, cullati dalla musica e da quegli oggetti che
sanno di lavoro, di arte, di storia, la mia storia, la loro, la
vostra, ora qui intrecciatissime più che mai alla mia stessa anima.
Devastazione (non mi viene davvero in mente un altro termine) che
continuerà quando si indossano la prima cuffia e.... no, il brano
che potete sentire non ve lo dico, per lasciare intatta la magia. Il
colpo di grazia è comunque accanto a me e sta per agguatarmi. Non mi
sono accorta infatti che in una teca lì accanto ci sono alcuni testi
scritti da Freddie. Ricordo di averli visti in rete, ma averli così
vicini mozza letteralmente il fiato. Sfido chiunque a resistere a
questa sensazione di tenerezza e di amore totale che mi avvolge
mentre ammiro la sua calligrafia. Non so dire perché ma è così,
perché questi non sono solamente oggetti, ma vere e proprie porte
attraverso cui entrare nella storia dei Queen. E così tra i testi, i
gadgets, le foto, i dischi e tanto altro ancora, il mio cuore va a
mille, soprattutto quando passo davanti agli strumenti, messi li come
se da un momento all’altro Brian, Roger, John e Freddie dovessero
entrare per registrare una nuova canzone. E poi c'è la scatola dello
scarabeo per far passare il tempo, altri testi, i posacenere....
tutto serve a creare l'atmosfera, a riportare indietro le lancette
dell'orologio e a far vivere a noi comuni mortali ciò che doveva
essere una giornata in studio con i Queen. Però chissà , magari sto
solo sognando e tra poco mi sveglio.
Il cuore ora si ammutolisce, quasi non
volesse disturbare la visione del microfono usato da Freddie per
l’ultima registrazione. Entro nella sala cinema dove viene
trasmesso il documentario sui Queen e sussulto quando sullo schermo
appare Dave Richards: meno male che sono seduta al buio in questa
saletta, perché inizio a sentire il trucco venire giù copiosamente.
Esco, ed è tempo di affrontare gli abiti di scena, forse il momento
che attendo con maggiore ansia da quando sono partita. E infatti non
c'è storia: abiti vs Paola è una partita da 4 a 0 e io sono ko in
un'istante. Il mio sguardo si posa sul magnifico abito realizzato da
Zandra Rhodes per Brian e mi sembra quasi di poterlo vedere indosso a
lui proprio in questo preciso istante. E poi naturalmente c'è il
vestito di Freddie e per me è la fine. Chi mi conosce sa che di
fronte a una cosa del genere sono destinata a perdere la ragione.
Qualcosa di magico (ancora una volta) mi avvolge e quando mi
avventuro con gli occhi della mente nel 1974 capisco che gli oggetti
hanno davvero il potere di rapirti il cuore. Quell’abito palpita,
freme, svolazza come se Freddie fosse davanti a me a correre su e giù
per il palco. Così col naso incollato alla teca ne scruto i
dettagli: i bottoni sfilati, i segni dell’uso durante i tour, il
bordo al collo leggermente consumato, e tutto ciò mi stordisce. E
mentre penso che siamo 'faccia a faccia', quasi lo vedo indossato
davanti a me, con Freddie che muove quelle ali e mi abbraccia ed è
come se le sentissi frusciarmi intorno, col profumo della lacca dei
suoi capelli e i suoi magnifici occhi puntati nei miei. Accanto c'è
il costume del 1984 e, inutile dirlo, il salto temporale è
immediato: quella giacca stropicciata, un buo rattoppato, la manica
destra più rovinata verso l’interno.... si sono finita sul palco a
Rio e non me ne sono accorta! Cuore mio placati, lacrime rientrate
altrimenti affogo. Giro la testa nel tentativo di distrarmi ma vengo
catturata dalla tuta di arlecchino! Per fortuna non mi accompagna
nessuno, almeno posso stare qui quanto mi pare e soprattutto guardare
ogni cosa centimetro per centrimetro E sto anche parlando da sola e
lo farei anche se ci fossero altre persone attorno a me. Il fatto è
che le parole devono uscire, altrimenti ci saranno solo lacrime. La
Leotard è perfetta, sensuale e spiritosa. A guardare le spalle e le
maniche mi sembra di essere nel backstage mentre Freddie si avvicina
e io, ancora una volta, lo abbraccio augurandogli buona fortuna. La
sento davvero questa cosa Dio mio ed è una sensazione che mi
ubriaca. Ma non avevo notato una cosa lì, proprio accanto alla tuta;
una cosa che mi fa esclamare un solenne, volgarissimo e liberatorio:
cazzo! L’asta e il microfono. L’ASTA E IL MICROFONO...capito?
Devo ripeterlo almeno altre tre volte per scongiurare mancamenti. I
segni dell’uso su entrambi gli oggetti mi emozionano come niente
altro, quasi fossero la prova che Freddie è davvero lì con me. Devo
inchinarmi per forza. Gli altri cantanti usano il microfono e ok va
bene. Ma questo è un simbolo, un totem, un simulacro! Non sono in
grado di spiegarvi fino in fondo tutto quanto, questa immensa
esplosione che ho dentro. Dovete vederlo coi vostri occhi. E poi
ancora le altre teche che parlano di Made in Heaven e degli anni in
cui non hanno lavorato qui; lo so, per questi oggetti io posso
rischiare la galera. Tra gadgets del concerto di Hyde Park o dei
primissimi anni della loro carriera, tra il 45 giri di Killer Queen e
Bohemian Rhapsody, io ho deciso: rompo il vetro e porto via qualcosa
con me. Io e Bohemian Rhapsody per nascita siamo gemelle, perché
mentre io venivo al mondo, lei arrivava al numero uno, ergo siamo
fatti l'una per l'altra! Semplice no? Meglio calmarsi lo so, scelgo
quindi di rinunciare alle tentazioni dirigendomi verso il banco mix.
Altro momento temuto, desiderato,
sognato. Ma dai, ma come si può? Già è dura per me essere qui
dentro dove sono nati certi pezzi, figuriamoci poter toccare con mano
gli strumenti da cui sono venute fuori così tante canzoni. 'And all
I can do is surrender…” è la frase incisa sulla placca dorata lì
per terra ed è un attentato a quel briciolo di razionalità che
ancora mi resta, ma davanti ai fogli coi testi di A Winter’s Tale e
Mother Love ditemi, come posso io rimanere lucida? Giocare col mix,
sentire quella voce lì nuda, in tutto il suo splendore e fragilitÃ
e forza e ironia è semplicemente da vivere. Giocateci anche voi e
avrete anche due gradite sorprese. Ed io, che avevo deciso di non
sentire Mother Love perché non volevo ridurre il mio viaggio alla
pagina più drammatica di questa storia (Freddie merita di essere
ricordato sempre con allegria), appena la sento abbandono quel minimo
di decenza rimastomi e piango. Seriamente, con impegno e
consapevolezza di ogni singola lacrima che scorre. Perché Freddie è
vita, colore, talento, ma li dentro in quel momento c’è solo la
sua voce, QUELLA voce che non ne vuole sapere di spegnersi e che, in
effetti, non lo ha mai fatto. E se io sono qui a domandarmi come
possa un uomo scrivere e cantare della propria morte, allora so che
anche il mio domani, incerto e in bilico tra disoccupazione e amori
mai ricambiati, potrà scomunque empre essere una bella avventura. E
sarò per sempre legata a questo gruppo, l’unico che da sempre sa
come 'vestirmi' alla perfezione. E prima di andare via faccio
scorrere ancora una volta le dita sulla teca che contiene l'abito di
Freddie del 1974....un'ultima volta per portarlo via con me.”
Paola “Killer Queen” Mazzotta