Ecco cosa penso di From Rags To Rhapsody, il nuovo documentario sui Queen della BBC


La vita del Blogger è più complicata di quanto non crediate. Mentre vi scrivo è un sabato pomeriggio che sta rapidamente declinando verso la sera. Qui al sud il freddo vero, quello pungente che ti spinge a restare abbracciato al termosifone, stenta ancora a fare capolino nonostante il calendario stia ormai ultimando la sua ennesima corsa. Avrei voglia di uscire, passeggiare per le vie del centro e fingere di interessarmi alle vetrine dei negozi e magari ingannare una manciata di minuti conversando amabilmente con quel tizio che ti intravede dall'altra parte della strada, si avvicina per salutarti e dimostra di sapere tutto di te mentre tu, ovviamente, lo fissi attonito e sprofondi nell'abisso dei ricordi in cerca del suo nome. Solo che al mio tentativo di trascorrere così le prossime ore risponde la necessità, anzi no, il piacere di raccontare cosa penso del “nuovo” documentario (le virgolette ve le spiego a breve) sui Queen trasmesso venerdì sera dalla BBC.


Il titolo ormai lo conoscete già: From Rags To Rhapsosy, un po' come dire dagli stracci al velluto. Ed è proprio questo il percorso che i Queen hanno fatto nei primi anni di carriera, prima di giungere alla pubblicazione di quel singolo che ha cambiato per sempre i loro destini e un po' anche i nostri (per non parlare del Blogger che con i Queen trova sempre qualcosa da fare). Attorno all'anniversario di Bohemian Rhapsody la BBC, con la complicità di Rhys Thomas (già coinvolto nei precedenti lavori The Great Pretender e Days Of Our Lives), ha costruito un filmato lungo circa un'ora che prova a descrivere gli esordi dei Queen, le difficoltà per sbarcare il lunario, i primi concerti, le frustrazioni e, infine, il glorioso successo. È una storia che conosciamo bene, ma che ha sempre qualcosa di interessante da rivelare, soprattutto quando viene presentata con una confezione di livello, come quella imbastita dal network inglese, che ogni volta batte la Rai non solo ai punti, ma per un sonoro ko tecnico che non ammette repliche, eccezion fatta per quel pezzo di bravura televisiva che si chiama Rai Storia. Ma questa è tutta un'altra faccenda.

Sebbene Rags (diamoglielo un nomignolo affettuoso), non abbia portato sullo schermo grandi novità rispetto a quanto già visto, gli spunti degni di nota non mancano. Come dico sempre in questi casi, puoi possedere le migliori biografie ed esserti prosciugato il conto in banca pur di accaparrarti il “vinile-edizione-limitata-con-errore-di-stampa-e-autografato”, ma alla fine se vuoi davvero saperne di più della storia dei Queen devi fermarti ad ascoltare Freddie, Roger, John e Brian che raccontano in prima persona le proprie esperienze e le motivazioni che li hanno spinti ad andare sempre in avanti lungo un percorso che dura ancora oggi. Ovviamente non aspettatevi le grandi rivelazioni, né quei dettagli pruriginosi che talvolta sembrano conquistare l'interesse della social-collettività (e che rendono il sottoscritto campione nazionale di sbadiglio). Quello che fanno i Queen è descrivere la propria versione dei fatti, con quella punta di orgoglio che di certo non stona quando fai parte di una band che ha inciso in modo indelebile sulla superficie coriacea della storia del rock e del pop (e di una decina di altri generi e stili).

L'importanza del concetto di “storia raccontata dai diretti protagonisti” sembra che la BBC e la Queen Production lo conoscano fin troppo bene. Bando quindi, in Regs, a quelle noiosissime considerazioni da parte di altri artisti e addetti ai lavori e volume al massimo per amplificare le voci della band che, in momenti e tempi diversi, raccontano quei primi fatidici cinque anni della loro carriera. Ci sono interviste già note e altre realizzate in tempi più recenti: queste ultime sono facilmente individuabili dalle fattezze hypster di Mr Taylor e dalla giacca (non fatemi dire di che colori perché devo ancora capirlo) del Dr May. Ma c'è soprattutto quella famosa intervista realizzata da Bob Harris nel 1977 in cui protagonista assoluto è un giovanissimo John Deacon, stranamente a suo agio con il racconto dei successi della sua band. E poi naturalmente non mancano gli interventi di Freddie, estrapolati da vari contesti, alcuni provenienti dall'epoca fatta di eyeliner e mascara, altri più vicini ai nostri giorni.

Tranquilli, Rags non è un documentario fatto di sole parole. Anzi, la musica resta in ogni caso la grande protagonista, con immagini tratte da un paio di show del 1973, da Rainbow e Earls Court '77 (quest'ultimo semplicemente meraviglioso), passando per un Top Of The Pops mai visto prima che ci mostra un Brian May decisamente atipico. Volete sapere perché? Brian lo abbiamo visto raramente senza la sua Red Special e quando accade pare una cosa davvero strana. In questo caso lo vedrete alle prese con una Gibson e l'effetto è sempre il medesimo, strano appunto. Altro non aggiungo sulle immagini: il documentario potete vederlo e non credo abbia molto senso star qui a scrivere una didascalia. Il mestiere del censore non mi appartiene e lascio ad altri l'onere di spiegare perché una cosa è bella o brutta, se funziona o meno e bla bla bla.

Qui però qualcosa possiamo dirla sulla validità di Rags come documento che racconta un pezzetto, forse il più importante della storia dei Queen. Nel farlo non possiamo trascurare una considerazione fondamentale: si tratta di un prodotto realizzato per la televisione e, stando a quanto mi ha detto lo stesso Rhys Thomas, tale resterà e non arriverà in dvd. E, in quanto prodotto televisivo, Rags doveva possedere alcuni canoni che forse a noi fans non sono del tutto graditi ma che ritroviamo durante la visione del filmato e ne condizionano la resa finale. Proviamo ad elencarli: la storia deve essere quella “classica”, altrimenti il pubblico generalista si annoia (vi sembrerà bizzarro, ma al genere umano non importa davvero nulla di sapere se in studio i Queen bevevano camomilla o thé); il racconto deve avere una durata congrua, altrimenti è facile che la gente consumi le pile del proprio telecomando in cerca di un'alternativa; infine, le immagini devo essere facilmente riconoscibili, quindi dimenticatevi filmati ultra rari ma dalla qualità così scarsa che a confronto una mummia egizia può fare concorrenza alla vostra bella vicina di casa ventenne. Se mettete assieme tutte queste necessità, vi farete un quadro più o meno corretto di Rags: un documentario onesto, senza troppi fronzoli, che va dritto al punto e che mostra i Queen agli esordi, mostrando e facendo sentire qua e là qualcosa capace di stuzzicare anche i nostri cuori da fans orgogliosi (su tutti, una Polar Bear in sottofondo in versione strumentale e qualche momento ridanciano durante la registrazione di Boh Rhap).

Di più, Rags offre una visione davvero interessante su un mondo musicale che forse è definitivamente tramontato. Gli anni '60 e '70 sono stati un'epoca d'oro per tantissime ragioni e la circostanza che per dei giganti come i Queen non sia stato facile raggiungere il successo la dice lunga di quanto nei decenni successivi la musica abbia subito un profondo scadimento. Freddie e soci hanno letteralmente mangiato pane e cipolla (e fagioli stando ai racconti di Brian May) durante i loro primi tre album, il che appare davvero lontano dal mondo musicale contemporaneo in cui la vetta viene quai sempre raggiunta già col primo singolo. La grande differenza, naturalmente, sta nei numeri e nella qualità. I Queen fin dai loro esordi hanno dimostrato di essere prima di tutto quattro musicisti superiori alla media e autori formidabili di canzoni, senza bisogno di essere aiutati da schiere di produttori e, anzi, con l'handicap di un manager opportunista. Rags racconta proprio questo e, pur facendolo per sommi capi, coglie il senso di un'epoca e presenta al grande pubblico quattro ragazzi talmente convinti del proprio sogno da aver avuto il coraggio di puntare su se stessi e uscirne vittoriosi. O, se preferite, da campioni.

Per (ri)vedere il documentario clicca la Pagina Facebook del Blog QUI.

@Last_Horizon