Il film dedicato a Freddie Mercury non si farà più....forse

Sono passati molti anni dalla morte di Freddie. Alcune cose sono cambiate, altre sono destinate a rimanere irrimediabilmente le stesse. Tra queste c'è la volontà di Brian e Roger di non smettere di raccontare al pubblico Freddie, attraverso la sua musica e al racconto di una vita comunque straordinaria. È questo lo spirito con cui un giorno di un paio d'anni fa si sono ritrovati i due musicisti nell'ufficio di Jim Beach. Da dietro la sua scrivania il manager scruta gli sguardi un po' incerti di Brian e Roger e infine dice che si, è davvero il momento di pensare a un film su Freddie. Sottolinea la decisione battendo con forza il palmo della mano sul ripiano di legno lucido. Ha già mille idee e soluzioni in mente. Serve solo qualche telefonata e poi la macchina organizzativa potrà partire. Da quel momento il progetto “biopic” (ovvero biografia cinematografica) diventa realtà, almeno nelle parole di Brian May, il primo a parlarne esplicitamente. Successivamente anche Roger dirà la sua e lentamente emergono i primi dettagli. Anzitutto la scrittura della storia, affidata ad una figura che negli ultimi anni ha assunto sempre maggior credito nel cinema che conta: Peter Morgan. Gli sceneggiatori sono tra le figure meno note, sebbene un film dipenda in gran parte dal loro lavoro. In una sceneggiatura ci sono la trama, i personaggi, i risvolti psicologici. C'è un mondo intero che dovrà poi essere ulteriormente mediato attraverso la sensibilità del regista e degli attori. E anche del produttore che, essendo colui che rende possibile il film con il proprio investimento, ha comunque diritto di parola in molte delle scelte finali.


Morgan è diventato famoso soprattutto grazie al film The Queen, che ha raccontato in modo davvero intenso uno dei periodi storici più complessi della monarchia inglese moderna: la morte di Lady Diana. Morgan è uno che ama le storie forti e sebbene sia in qualche modo specializzato nella trasposizione cinematografica di storie vere, cerca sempre di coglie in queste ultime i momenti di massima tensione. Da Morgan, insomma, non ci si può aspettare un agiografia. La sua penna è piuttosto un bisturi che si insinua tra le pieghe dei fatti per scovare quel nucleo di verità capace di svelare nel profondo i caratteri e i significati delle scelte che ciascuno fa. Se poi la protagonista è la Regina d'Inghilterra l'effetto è assicurato.

È sulla base di questa prospettiva che Morgan viene scelto per lavorare al film. Il primo passo è semplice eppure complesso: la raccolta di informazioni, che nel caso di Morgan passa per due canali. Gli articoli di giornale, le interviste, i video nei quali lo stesso Freddie si racconta e lunghe ore passate a dialogare con Brian e Roger che, in ogni caso, intendono mantenere un ferreo controllo sullo sviluppo del progetto. L'autore infine scova quella storia nella storia congeniale al suo stile. Individua nel periodo 1983-1985 un momento degno di essere raccontato, perché è allora che nei Queen si sviluppa una frattura. È quello il momento nel quale Freddie Mercury inizia a pensare di poter anche fare a mano della band. Ed è anche quella fase in cui Freddie gioca più seriamente con la propria vita, fino all'epilogo finale che per Morgan non è la malattia (non è nelle intenzioni dei Queen descrivere l'ultima, straziante fase della vita dell'amico), bensì l'esibizione al Live Aid. Chiunque ha visto quella performance sa quanto sia significativa, non solo storicamente per il mondo della musica, ma anche per i Queen stessi, che utilizzeranno quel palco come trampolino di lancio per vivere un'ultima, incredibile fase della loro carriera.

E così, mentre Morgan lavora alla sceneggiatura, si cerca l'attore protagonista, colui che avrà forza e capacità di portare in scena una delle figure artistiche e umane più complesse di sempre. Le cronache di quei giorni narrano di una possibile scelta tra Johnny Deep e Sacha Baron Cohen. Il primo appare favorito, soprattutto perché ben visto dai fans che nel suo volto rivedono alcuni tratti somatici del Freddie più giovane. Cohen, al contrario, è fatto oggetto di critiche e accuse. È un personaggio strano, poco conosciuto per certi versi, non come attore drammatico almeno. Ha sempre incarnato figure goliardiche, parodistiche e il timore di molti è che possa applicare questo schema interpretativo anche a Freddie. Inaccettabile per qualsiasi fan. I Queen invece sembrano credere proprio in lui, sedotti dall'impegno che Cohen dimostra fin da subito. Un entusiasmo che l'attore cerca di far trapelare anche nelle interviste, una volta che il suo nome diventa ufficiale. Studia anche canto, perché sa che in questo ruolo non sarà ammesso nulla di meno della perfezione. Nel frattempo il lavoro di Morgan è concluso (pare non senza qualche dissidio con i Queen) e sulla base della sceneggiatura lo stesso Cohen può iniziare a lavorare per cesellare la sua interpretazione.

Da questo momento tutto si fa molto più oscuro, sebbene il coinvolgimento della Tribeca di Rober De Niro in veste di produttore sembri dare un'ulteriore impulso alla realizzazione del film. I tempi si allungano a dismisura, nonostante Brian May confermi che tutto procede nel migliore dei modi e la soddisfazione per il lavoro di Cohen è in aumento. Eppure si sa, quando agli annunci non seguono i fatti il timore che in realtà dietro le quinte le cose non vadano bene come si vuol far credere crescono e sedimentano. I fans non smettono di occuparsi della notizia e sono suddivisi tra chi non vede l'ora di essere al cinema e chi, invece, detesta fin da subito l'iniziativa. È la scelta di Cohen soprattutto a fomentare gli animi più intransigenti.

Poche settimane fa i dubbi trovano definitiva conferma con l'annuncio che Cohen si chiama fuori dal film. Non dice molto, ma le sue parole sono sufficienti a comprendere cosa sia accaduto: lui e Morgan sono d'accordo nel voler raccontare la vita di Freddie senza filtri, puntando (probabilmente) sul suo lato più privato e intimo. Brian e Roger non possono essere d'accordo. La privacy di Freddie va difesa, anche a distanza di anni. Non è mancanza di onestà la loro. È una forma di rispetto che va tributata ad un amico quando non è più in grado di difendersi da solo. Per certi versi quella cortina protettiva che i Queen eressero attorno a Freddie nel 1991 è ancora in piedi. La loro non è un'amicizia che possa essere barattata o svenduta sull'altare di Hollywood.

Oggi la situazione appare compromessa, forse in modo definitivo. È di ieri la notizia apparsa sul giornale inglese “Metro” secondo cui alcune fonti interne alla BBC avrebbero rivelato che con il forfait di Cohen anche il progetto del biopic può essere considerato tramontato. Proprio stamattina questa breve indiscrezione è stata riportata anche sul sito di Brian, ma mancando ancora un commento completo è difficile valutarne l'entità. Le valutazioni da fare sono numerose e comprendono talmente tanti aspetti che, in ogni caso, è un progetto rinviato nel tempo, salvo improvvisi e fortunati cambi di rotta.


Trovo difficile esprimere a questo punto un'opinione. Sono dell'idea che un prodotto, e il biopic sarebbe questo, nulla di più, vada giudicato dopo la sua uscita. Il rischio che si corre, altrimenti, è di far naufragare anche cose molto buone (e un giorno parleremo, voi ed io, di The Cosmos Rocks!). Però ho piena fiducia in Brian e Roger. So che entrambi sono animati dalla volontà di rendere omaggio a Freddie e anche quando dall'esterno determinate scelte possono essere apparse meramente speculative, sono certo che in realtà vi fosse solo l'intento di tenere viva una fiamma da cui, prima o poi, la Fenice è sempre destinata a rinascere. Anche su pellicola.

@Last_Horizon